1/224
ti amo, buona fortuna <3
Name | Mastery | Learn | Test | Matching | Spaced |
---|
No study sessions yet.
Quali sono i cinque vantaggi principali di una diagnosi fatta con sensibilità e adeguato addestramento?
Una diagnosi fatta con sensibilità e adeguato addestramento offre almeno cinque vantaggi principali:
È utile nella pianificazione del trattamento.
Fornisce un’informazione implicita sulla prognosi.
Contribuisce a proteggere gli utenti dei servizi di salute mentale.
Aiuta il terapeuta a comunicare empatia.
Contribuisce a ridurre la probabilità che il trattamento venga abbandonato.
In che modo la diagnosi psicoanalitica differisce dalla diagnosi psichiatrica descrittiva (es. DSM e ICD)?
La diagnosi psicoanalitica differisce dalla diagnosi psichiatrica descrittiva (come quelle basate sui sistemi DSM e ICD) sotto diversi aspetti. Innanzitutto, i sistemi DSM e ICD sono diventati la norma, ma una diagnosi psicoanalitica è inferenziale, contestuale, dimensionale e basata sulla soggettività del clinico, sebbene sia più un'eccezione che la regola. Il DSM-IV, ad esempio, manca di una definizione implicita di salute mentale e benessere emotivo. Al contrario, l'esperienza clinica psicoanalitica mira non solo a modificare comportamenti o stati mentali problematici, ma anche ad aiutare i pazienti ad accettare i limiti, migliorare la resilienza, aumentare il senso di agency, tollerare un ampio spettro di pensieri e affetti, rendere più stabile il senso del Sé, sviluppare autostima, capacità di intimità, sensibilità morale e consapevolezza della soggettività altrui. In secondo luogo, il tentativo di ridefinire la psicopatologia per la ricerca ha prodotto descrizioni di sindromi cliniche categoriche in modo artificioso, che non riescono a cogliere le complesse esperienze dei pazienti. In terzo luogo, la reificazione delle categorie dei "disturbi" ha avuto conseguenze negative, incoraggiando le assicurazioni a garantire solo il minimo cambiamento sintomatico, ignorando problematiche più profonde. Quarto, le decisioni sull'inclusione nel DSM sono apparse arbitrarie, incoerenti e influenzate da legami con case farmaceutiche. Infine, la diagnosi categoriale ha un effetto sociale sottile, contribuendo all'auto-estraneamento e al disconoscimento delle responsabilità. Ad esempio, dire "ho una fobia sociale" è più distaccato e alienato rispetto a "sono una persona timida che soffre", riducendo la probabilità di risposte di connessione affettiva.
Qual è la motivazione fondamentale della diagnosi nella pianificazione del trattamento e quali indicazioni fornisce una buona formulazione diagnostica?
La pianificazione del trattamento è la motivazione fondamentale della diagnosi. Sebbene il parallelismo con la medicina non sempre funzioni in psicoterapia, una buona diagnosi ha valore quando esistono approcci terapeutici specifici e consensualmente accettati per determinate condizioni, come la dipendenza da sostanze o il disturbo bipolare. Anche se per i disturbi del carattere la psicoterapia psicoanalitica a lungo termine rimane la prescrizione più frequente, i trattamenti psicoanalitici non sono procedure monolitiche. Una buona formulazione diagnostica fornirà indicazioni cruciali al terapeuta in aree come lo stile relazionale da adottare, il tono degli interventi e gli argomenti iniziali da trattare con il paziente.
Spiega il valore delle implicazioni prognostiche della diagnosi, differenziando problemi dovuti a stress temporaneo da problemi strutturali della personalità.
Le implicazioni prognostiche della diagnosi sono di grande valore sia per il clinico che per il paziente, poiché permettono di avere aspettative realistiche sul progresso terapeutico. Non è possibile attendersi lo stesso ritmo di miglioramento da un paziente con un carattere ossessivo rispetto a una persona con un'ossessione improvvisa. Le categorie del DSM, a volte, non forniscono informazioni implicite sulla prognosi. Un punto di forza della tradizione psicoanalitica è la sua capacità di distinguere tra sintomi dovuti a condizioni di stress temporaneo e problemi strutturali della personalità. Una diagnosi basata solo sul problema manifesto è considerata inutile, poiché una fobia, ad esempio, ha un significato profondamente diverso se si manifesta in una persona con personalità depressiva o narcisistica rispetto a una persona con un carattere caratterologicamente fobico. Ad esempio, una ragazza bulimica che sviluppa il disturbo durante il primo anno di università, considerandolo autodistruttivo ed esterno alla sua volontà, avrà aspettative di trattamento e prognosi molto diverse rispetto a una ragazza borderline che ha cicli di abbuffate e vomito fin dall'infanzia e considera il suo comportamento ragionevole a causa delle pressioni sociali. Entrambe soddisfano i criteri DSM per la bulimia nervosa, ma la prima può essere aiutata in poche settimane, mentre per la seconda un obiettivo realistico potrebbe essere la consapevolezza della necessità di un cambiamento dopo un anno di lavoro.
In che modo una pratica diagnostica scrupolosa contribuisce a proteggere gli utenti dei servizi di salute mentale e a favorire una comunicazione etica?
Una pratica diagnostica scrupolosa è fondamentale per proteggere gli utenti dei servizi di salute mentale e promuovere una comunicazione etica tra clinici e pazienti. Basandosi su una valutazione accurata, il terapeuta può informare il paziente su cosa aspettarsi dal trattamento, evitando di promettere troppo o di dare indicazioni sbagliate. Una buona valutazione informa il professionista sulla probabilità che un approccio terapeutico a breve termine sia significativamente d'aiuto per una specifica persona. Se il terapeuta e il cliente sono convinti di poter fare una terapia efficace con chiunque, nonostante le limitazioni intrinseche del trattamento, ciò può portare a un senso di autorimprovero in entrambi se il progresso atteso non si realizza. Inoltre, un'accurata valutazione diagnostica riduce la possibilità che un paziente rimanga per anni in una relazione professionale senza trarne beneficio. Molti individui in terapia da anni potrebbero, infatti, ottenere risultati migliori in contesti diversi, come centri per la tossicodipendenza, gruppi di sostegno o terapie farmacologiche integrate.
Come la comunicazione dell'empatia è facilitata da una buona diagnosi e quale ruolo hanno le reazioni emotive del terapeuta?
La comunicazione dell'empatia è facilitata da una buona diagnosi, che si basa anche sul ruolo cruciale delle reazioni emotive del terapeuta. L'empatia, intesa come la capacità di percepire a livello emotivo qualcosa di simile a ciò che l'altra persona sta provando, è essenziale. Le persone in terapia possono esprimere un'affettività intensamente negativa che induce risposte altrettanto intense negli altri. Sebbene il terapeuta non debba agire in base a tali reazioni emotive, esse sono di enorme valore potenziale. Quando il terapeuta le riconosce nel proprio vissuto emotivo, esse contribuiscono in modo fondamentale alla formulazione di una diagnosi accurata. Questa diagnosi, a sua volta, permette di scegliere un approccio al cliente che sarà percepito come sinceramente empatico. Ad esempio, un individuo percepito come "manipolativo" potrebbe avere un carattere isterico o una personalità psicopatica. La risposta terapeutica appropriata dipenderà dall'ipotesi diagnostica: con un cliente isterico si potrebbero esprimere commenti che riconoscono sentimenti di paura e impotenza, mentre con uno psicopatico si potrebbe comunicare un apprezzamento beffardo per le sue capacità persuasive. Se il terapeuta si limita all'etichetta "manipolativo" senza un contesto diagnostico più complesso, è improbabile che possa offrire al cliente una speranza fondata di essere compreso.
Quali sono le ragioni dell'abbandono prematuro del trattamento e come la diagnosi può contribuire a ridurlo?
Molte persone abbandonano prematuramente il trattamento perché, dopo aver cercato aiuto professionale, temono che l'attaccamento al terapeuta possa rappresentare un grave pericolo. Ad esempio, l'individuo ipomaniacale tende a ritirarsi dalle relazioni non appena queste stimolano desideri di dipendenza, a causa di esperienze precoci negative. Allo stesso modo, le persone controdipendenti, la cui autostima si basa sul diniego del bisogno di attenzione, tendono a fuggire dalla terapia non appena sentono un certo attaccamento. Una buona diagnosi può contribuire a ridurre l'abbandono prematuro del trattamento. Per questi individui, è rassicurante che il terapeuta esprima commenti sulla loro difficoltà a rimanere in trattamento, poiché la comprensione emotiva in queste parole viene percepita come autentica. Questo riconoscimento della loro difficoltà aumenta la probabilità che il paziente resista alla tentazione di andarsene.
Descrivi i vantaggi secondari dell'attività diagnostica per la relazione terapeutica e per l'autostima del terapeuta.
L'attività diagnostica offre diversi vantaggi secondari. Per la relazione terapeutica, essa rassicura i pazienti, che si sentono più a loro agio quando percepiscono la curiosità, la relativa mancanza di ansia e la convinzione del clinico che il trattamento appropriato inizierà non appena saranno meglio compresi. Un terapeuta insicuro, al contrario, può indurre il paziente a dubitare della sua competenza. L'attività diagnostica fornisce un lavoro da svolgere per entrambi i partecipanti nelle fasi iniziali, prima che il paziente si senta abbastanza a suo agio per aprirsi spontaneamente. Questo "processo di stabilizzazione" permette di ottenere informazioni che potrebbero essere difficili da comunicare in seguito, quando si è sviluppato un transfert. Ad esempio, informazioni sull'uso di sostanze psicotrope sono spesso condivise più facilmente con un professionista che è ancora uno sconosciuto. Per l'autostima del terapeuta, l'attività diagnostica contribuisce a mantenerla stabile. La paura di sbagliare una diagnosi è comune, ma un'ipotesi diagnostica, anche se poi rivista, permette al clinico di procedere con un'attività finalizzata a basso livello di ansia. Infine, il lavoro diagnostico è un "effetto collaterale positivo" che aiuta gli operatori della salute mentale a non sentirsi disonesti, a ridurre la paura dei fallimenti terapeutici e a prevenire il burnout, accelerato da aspettative irrealistiche. Per i terapeuti con personalità depressive, una buona abilità diagnostica permette alla ragione di prevalere, aiutandoli a rimanere saldi nella trincea clinica e a non trasformare ogni stallo in autocensura.
Quali sono i limiti dell'utilità della diagnosi e quando un clinico dovrebbe fare affidamento sul buon senso comune?
L'utilità della diagnosi ha dei limiti e non dovrebbe essere applicata oltre la sua funzione. Per i clinici che praticano prevalentemente terapie a lungo termine, una valutazione attenta è di massima importanza solo in due casi: all'inizio del trattamento e nei periodi di crisi o di stallo, quando riconsiderare la struttura di personalità può fornire la chiave per modifiche tecniche efficaci. Esistono persone che non trovano scarsa corrispondenza nelle comuni categorie evolutive e tipologiche di personalità. In questi casi, quando una definizione confonde più che chiarire, il clinico farebbe meglio a non tenerne conto e a usare il buon senso comune. Anche quando una categoria diagnostica si adatta bene, le differenze individuali (come età, etnia, contesto sociale, malattie fisiche, atteggiamenti politici o orientamento sessuale) possono essere più importanti da considerare nelle prime fasi della relazione terapeutica per raggiungere empatia e cura, piuttosto che cercare l'esatta categoria diagnostica. È essenziale che il terapeuta sia sempre disponibile a rivedere la diagnosi iniziale alla luce di nuove informazioni, poiché le persone sono intrinsecamente più complesse di quanto le categorie diagnostiche possano prevede
Descrivi la teoria freudiana classica delle pulsioni e come il carattere veniva concettualizzato in base al concetto di fissazione.
La teoria dello sviluppo della personalità originariamente proposta da Freud era un modello di derivazione biologica che sottolineava la centralità dei processi istintuali. Essa concepiva negli esseri umani un'ordinata progressione di interessi corporei dalla dimensione orale, attraverso quella anale e fallica, fino alla dimensione genitale. In quest'ottica, i bambini nelle prime fasi dell'esistenza, e gli aspetti infantili del Sé negli adulti, ricercano senza inibizione la gratificazione istintuale. La teoria pulsionale postulava che il bambino eccessivamente frustrato o gratificato in uno stadio psicosessuale precoce rimanesse "fissato" ai problemi relativi a quello stadio. Il carattere veniva dunque concepito come espressione degli effetti a lungo termine di tale fissazione: per esempio, una personalità depressiva da fase orale, ossessiva da fase anale, o isterica da fase fallica. Nonostante questo modello di fissazione istintuale si sia rivelato deludente come unica base per la comprensione del carattere, la sensibilità agli aspetti evolutivi da esso derivata permane nella psicoanalisi contemporanea.
In che modo Erikson, Sullivan e Mahler hanno riformulato o esteso il concetto freudiano di stadi psicosessuali?
Erikson riformulò gli stadi psicosessuali in base ai compiti interpersonali e intrapsichici propri di ciascuna fase. La fase orale divenne la condizione di totale dipendenza, in cui lo stabilirsi di una fiducia di base (o la sua mancanza) rappresentava l'esito della gratificazione o deprivazione orale. La fase anale implicava l'acquisizione dell'autonomia (o sentimenti di vergogna e dubbio), estendendo il compito di padronanza delle funzioni escretorie di Freud all'apprendimento dell'autocontrollo e al confronto con le aspettative familiari e sociali. La fase edipica fu vista come un periodo critico per sviluppare un senso fondamentale di efficacia e piacere nell'identificazione con gli oggetti d'amore. Erikson estese l'idea di fasi e compiti evolutivi a tutto l'arco della vita e a diverse culture. Intorno al 1950, Sullivan propose una teoria degli stadi (definite "epoche") che dava maggiore risalto alle acquisizioni sul piano della comunicazione, come il linguaggio e il gioco, piuttosto che alla soddisfazione pulsionale. Come Erikson, Sullivan credeva che la personalità continuasse a svilupparsi e a cambiare ben oltre i primi sei anni di vita indicati da Freud. La successiva teoria di Mahler si colloca nell'area delle relazioni oggettuali, ma i suoi presupposti impliciti di fissazione derivano dal modello evolutivo di Freud. Mahler suddivise i primi due stadi freudiani, orale e anale, descrivendo il passaggio da uno stato di relativa inconsapevolezza degli altri (fase autistica, fino a circa 6 settimane) a uno di relazionalità simbiotica (per circa due anni).
Che cos'è la posizione "autistico-contigua" (Ogden) e quali forme primitive di significato vi sono generate?
Le informazioni sulla posizione "autistico-contigua" (Ogden) e le forme primitive di significato generate non sono presenti nel documento fornito.
Spiega il modello di Fonagy e Target sullo sviluppo del senso di sé e della realtà attraverso la capacità di "mentalizzazione".
Fonagy e Target hanno proposto un modello relativo allo sviluppo di un adeguato senso di sé e della realtà basato sulla capacità di "mentalizzare" le motivazioni degli altri. Il concetto di mentalizzazione richiama la "teoria della mente", ovvero il riconoscimento della soggettività e della separatezza degli altri. Fonagy ha osservato che intorno ai due anni i bambini passano da una "modalità dell'equivalenza psichica", in cui il mondo interno e il mondo esterno corrispondono, a una "modalità del far finta", in cui il mondo interno è separato dal mondo esterno ma non è ancora governato dalle sue regole. Successivamente, tra i quattro e i cinque anni, il bambino acquisisce la capacità di mentalizzazione e la funzione riflessiva, cosicché le due modalità vengono integrate e la fantasia viene chiaramente distinta dalla realtà.
Definisci i concetti di Es, Io e Superio secondo il modello strutturale di Freud e la loro rilevanza per la psicopatologia del carattere.
Secondo il modello strutturale di Freud:
Es: È la parte della psiche che contiene pulsioni e impulsi primitivi, forze prerazionali, combinazioni di desideri-paure e fantasie. Cerca la gratificazione immediata ed è totalmente egoista, operando secondo il principio di piacere. Dal punto di vista cognitivo è preverbale, si esprime con immagini e simboli, è prelogico e non concepisce tempo, mortalità, limiti o la coesistenza degli opposti (pensiero del processo primario). È completamente inconscio.
Io (Ego): È una serie di funzioni che consentono all'individuo di adattarsi alle esigenze della vita, trovando modalità accettabili per gestire gli impulsi dell'Es. Si sviluppa continuamente, più rapidamente nell'infanzia, agisce secondo il principio di realtà ed è la sede del pensiero del processo secondario (modalità cognitive sequenziali, logiche, orientate alla realtà). Media tra le spinte dell'Es e le limitazioni imposte dalla realtà e dall'etica. Possiede aspetti coscienti (concetto di sé/io) e inconsci (processi difensivi).
Superio (Superego): È la parte del Sé che sovraintende alle cose, specialmente da una prospettiva morale, approssimativamente sinonimo di "coscienza morale". Si congratula per il nostro meglio e critica le deviazioni dagli standard. È parte dell'Io, sebbene percepito come separato, ed è in parte cosciente e in parte inconscio. Freud pensava si formasse principalmente durante il periodo edipico.
Rilevanza per la psicopatologia del carattere: La teoria strutturale fornì un nuovo linguaggio per la patologia del carattere, mostrando che tutti sviluppano difese dell'Io che sono adattive nell'infanzia ma diventano disadattive nell'età adulta. Inoltre, lo sviluppo del concetto di Superio permise di includere la modificazione del Superio del cliente come compito terapeutico. La psicologia dell'Io, descrivendo i processi difensivi, ha una rilevanza centrale per la diagnosi del carattere, permettendo di classificare le persone in base alle loro modalità caratteristiche di gestire l'ansia e gli altri affetti disturbanti.
Che cos'è la "forza dell'Io" e come si distingue tra difese più arcaiche e più mature nella psicologia dell'Io?
La "forza dell'Io" si riferisce al ruolo fondamentale dell'Io nel percepire la realtà e nell'adattarsi ad essa. Indica la capacità della persona di riconoscere la realtà, anche quando estremamente spiacevole, senza ricorrere alle difese più primitive. Nella psicologia dell'Io è emersa una distinzione tra difese più arcaiche e più mature. Le difese più arcaiche sono caratterizzate dall'evitamento psicologico o dalla distorsione radicale dei fatti disturbanti della vita. Le difese più mature implicano invece una maggiore capacità di adattamento alla realtà. Freud, rovesciando la sua formulazione iniziale, stabilì che la rimozione era una risposta all'ansia e rappresentava solo uno dei modi per evitare un insopportabile sentimento di irrazionale paura. La psicopatologia venne quindi visualizzata come uno stato in cui un tentativo difensivo non funziona e l'ansia si fa sentire nonostante l'attivazione dei mezzi abituali per tenerla a bada, o dove il comportamento che cela l'ansia è autodistruttivo.
Qual è la differenza fondamentale tra la teoria delle pulsioni e la teoria delle relazioni oggettuali di Fairbairn riguardo alla motivazione umana?
La differenza fondamentale tra la teoria delle pulsioni e la teoria delle relazioni oggettuali di Fairbairn riguarda la motivazione umana. Fairbairn rifiutava il biologismo esplicito di Freud e suggeriva che le persone non cercano la soddisfazione pulsionale tanto quanto cercano la relazione. In altre parole, il bambino non è focalizzato sull'ottenere il latte dalla madre, quanto piuttosto sull'esperienza di essere accudito, con il senso di calore e attaccamento che fa parte di tale esperienza. Questo orientamento pone l'accento non tanto sulla pulsione trattata in modo non corretto nell'infanzia, sulla fase di sviluppo non superata o sulle difese predominanti, quanto piuttosto sugli oggetti d'amore più importanti nel mondo del bambino, su come sono stati percepiti, interiorizzati e come le loro immagini interne agiscono nella vita inconscia dell'adulto.
In che modo la teoria delle relazioni oggettuali e la prospettiva interpersonale americana hanno ampliato la comprensione della psicopatologia grave?
La comparsa dei concetti espressi dai teorici europei delle relazioni oggettuali e dai terapeuti interpersonali americani (come Sullivan, Fromm, Horney, Thompson, Will, Fromm-Reichmann e Searles) introdusse progressi significativi nel trattamento. Le psicologie di molti clienti, specialmente quelli con psicopatologie gravi, non erano facilmente formulabili in termini di Io, Es e Superio. Sembrava che queste persone avessero, invece di un Io integrato con funzioni di auto-osservazione, diversi "stati dell'Io", ovvero condizioni mentali in cui sentono e si comportano in modi spesso contrastanti. I clinici impararono che il trattamento migliorava se riuscivano a rappresentarsi il genitore interno o l'oggetto precoce importante attivato in un dato momento, anziché tentare di relazionarsi come se ci fosse un Sé coeso con difese mature. L'avvento del punto di vista delle relazioni oggettuali ha quindi ampliato gli scopi e la portata del trattamento. Il carattere poteva essere concepito come una serie prevedibile di modelli interiori che spingono la persona, o altri inconsciamente indotti, a comportarsi come gli oggetti percepiti nella prima infanzia. Inoltre, si sviluppò una nuova attenzione al controtransfert, riconosciuto come un veicolo essenziale di comprensione per i clienti psicotici, borderline o traumatizzati, in contrasto con la visione freudiana che lo considerava una prova di incompleta conoscenza di sé del terapeuta.
Spiega il concetto di controtransfert concordante e complementare di Racker, con un esempio.
Racker, un analista influenzato da Klein, ha proposto le categorie di controtransfert concordante e controtransfert complementare, entrambi di enorme valore clinico.
Il controtransfert concordante si riferisce alla percezione empatica del terapeuta di ciò che il paziente aveva sentito da bambino in relazione a un oggetto precoce.
Il controtransfert complementare indica la percezione del terapeuta, non empatica dal punto di vista del cliente, di ciò che l'oggetto aveva sentito verso il bambino.
Esempio: Un paziente ha l'abitudine di fornire dettagli ridondanti sulle persone che menziona, come "Sara è la segretaria del terzo piano con cui ho pranzato ieri," anche se ne ha già parlato. Il terapeuta, interpretando questa abitudine come un segno di non essere stato ascoltato in famiglia, si sente annoiato mentre il paziente difende la madre come sempre interessata. Il terapeuta fantastica di presentare il caso ai colleghi per impressionarli con la sua bravura. Quando torna ad ascoltare, il paziente descrive come la madre preparasse costumi elaborati e partecipasse attivamente alle sue recite. In questa fantasia, il terapeuta è diventato come la madre dell'infanzia del paziente, interessata a lui principalmente per il contributo alla sua reputazione. Racker avrebbe definito questo un controtransfert complementare, poiché lo stato emotivo del terapeuta è analogo a quello di un oggetto significativo dell'infanzia del paziente. Se, al contrario, il terapeuta avesse sentito di non ricevere attenzione dal paziente, ma di essere apprezzato solo per come accresceva l'autostima del paziente (probabilmente come il cliente da bambino), allora il controtransfert sarebbe stato concordante.
Quali critiche alla teoria analitica prevalente hanno portato allo sviluppo della Psicologia del Sé di Kohut?
Lo sviluppo della Psicologia del Sé di Kohut fu una risposta alle critiche che i clinici, a partire dagli anni '60, muovevano alla teoria analitica prevalente, poiché i problemi dei loro pazienti non erano sempre ben descritti nel linguaggio dei modelli allora dominanti. I pazienti riferivano sentimenti di vuoto, mancanti di un senso di direzione interiore e di valori orientativi, cercando significato nella vita. I problemi non erano riducibili a:
Conflittualità tra una spinta istintuale e le relative inibizioni (teoria pulsionale classica).
Azione inflessibile di particolari difese contro l'ansia (psicologia dell'Io).
Attivazione di oggetti interni da cui il paziente non si era sufficientemente differenziato (teoria delle relazioni oggettuali).
Questi pazienti, con il loro cronico bisogno di rispecchiamento da fonti esterne, erano considerati fondamentalmente narcisistici e inducevano un controtransfert di noia, impazienza, irritazione e futilità nel terapeuta, che si sentiva insignificante, invisibile, svalutato o sopravvalutato. Il loro disturbo ruotava intorno al sentimento del Sé (chi erano, quali valori, come mantenere l'autostima), spesso dichiarando di non sapere chi fossero o cosa contasse per loro, e provando scarso piacere o orgoglio. Poiché aiutare qualcuno a sviluppare un Sé era considerato un compito molto più grande che riorientare o riparare un Sé già esistente, si cercarono nuovi costrutti per concettualizzare e trattare la loro sofferenza con maggiore sensibilità.
In che modo Kohut ha concettualizzato il Sé e i bisogni narcisistici, e quale impatto ha avuto sulla diagnosi e il trattamento?
Kohut ha formulato una nuova teoria del Sé, affrontando i temi del suo sviluppo, delle sue possibili distorsioni e del trattamento. Egli pose l'accento su processi come il normale bisogno di idealizzare e sulle implicazioni per la psicopatologia adulta di un'infanzia senza oggetti da poter inizialmente idealizzare e poi deidealizzare gradualmente e in modo non traumatico. I suoi contributi furono utili per comprendere e aiutare clienti narcisisticamente danneggiati, favorendo un riorientamento generale a concettualizzare le persone in termini di strutture del Sé, rappresentazioni di sé, immagini di sé, e a capire come l'individuo dipenda da processi interni per l'autostima.
Impatto sulla diagnosi e il trattamento:
Ha aggiunto il linguaggio del Sé alla teoria analitica, incoraggiando i valutatori a cogliere la dimensione dell'esperienza di sé nelle persone.
I terapeuti hanno iniziato a osservare processi orientati al sostegno dell'autostima, della coesione del Sé e del senso di continuità, anche in pazienti non prettamente narcisistici.
Le difese sono state riconcettualizzate come funzionali a sostenere un senso di sé coerente e positivo.
Ha evidenziato l'importanza di differenziare tipi di depressione (es. "introiettiva" vs "narcisistica" o "da vuoto") per scegliere l'approccio terapeutico adeguato. Ad esempio, un paziente che vive la depressione come "sono vuoto, affamato, solo e ho bisogno di sentirmi in contatto con qualcuno" (il tipo anaclitico/narcisistico) trarrà sollievo dall'espressione diretta di interesse e sostegno, mentre un paziente che si sente "difettoso, cattivo" (introiettivo) non risponderebbe positivamente a un atteggiamento di sostegno aperto, sentendosi frainteso e aggravando la depressione.
Confronta la depressione "introiettiva" e la depressione "narcisistica" (o da vuoto) e le loro diverse implicazioni terapeutiche.
Secondo quanto riportato, la depressione "introiettiva" e la depressione "narcisistica" (o da vuoto) differiscono significativamente nell'esperienza interna e nelle implicazioni terapeutiche.
Depressione "introiettiva": Questi individui descrivono il loro stato depressivo con affermazioni come "Io non sono sufficientemente buono, sono difettoso, sono cattivo". Per questa tipologia, un atteggiamento apertamente comprensivo e di sostegno da parte del terapeuta non è efficace, in quanto il paziente si sentirebbe frainteso come persona più meritevole di quanto egli creda di essere realmente, e ciò potrebbe condurre a un aggravamento della depressione.
Depressione "narcisistica" (o da vuoto): Questi pazienti riportano sentimenti di vuoto, mancanza di un senso di direzione interiore e di valori di orientamento, e descrivono la loro esperienza soggettiva come "Io sono vuoto, affamato, solo e ho bisogno di sentirmi in contatto con qualcuno". Erano considerati fondamentalmente narcisistici dai clinici di orientamento analitico e inducevano nel terapeuta un controtransfert di noia, impazienza, irritazione e futilità. Per questo tipo di paziente, l'espressione diretta di interesse e sostegno da parte del terapeuta è molto più efficace, poiché il loro vuoto viene temporaneamente colmato e la sofferenza della vergogna mitigata.
Che cos'è la "svolta relazionale" e come ha influenzato la concezione della situazione clinica e il ruolo del terapeuta?
La "svolta relazionale" è l'innovazione teorica più importante negli anni recenti, con origini in Greenberg e Mitchell, che hanno messo in contrapposizione i modelli pulsionali e della psicologia dell'Io con le teorie relazionali (teoria interpersonale, relazioni oggettuali e psicologia del Sé). Questo cambiamento ha portato a riconoscere la natura inevitabilmente intersoggettiva della situazione clinica. Ha influenzato la concezione della situazione clinica e il ruolo del terapeuta in diversi modi:
Oggettività e neutralità del terapeuta: Figure come Hoffman e Stern hanno contestato il postulato secondo cui l'oggettività e la neutralità emotiva del terapeuta sono possibili e desiderabili.
Contributo del terapeuta: È stato evidenziato il contributo della vita inconscia del terapeuta alla situazione analitica, oltre a quella del paziente.
Mutualità e co-costruzione: La coppia clinico-paziente è considerata in termini di mutualità e co-costruzione, nonostante l'asimmetria della relazione.
Ruolo dell'analista: L'analista non è più visto come qualcuno che conosce in forma oggettiva, ma come qualcuno che scopre la psicologia del paziente insieme a lui, un processo che contribuisce a inevitabili enactment delle tematiche più rilevanti del paziente.
Focus sul processo: Gli psicoanalisti relazionali si sono dimostrati molto più interessati al processo terapeutico che a strutture ipotetiche come il carattere.
Impossibilità di osservazione asettica: Hanno sottolineato l'impossibilità di osservare asetticamente i pazienti, dato che ogni osservazione influenza l'oggetto dell'osservazione stessa.
Valore della personalità del terapeuta: Hanno segnalato il valore della personalità del terapeuta (forme peculiari di attualizzazione di contenuti inconsci nel campo bipersonale della relazione analitica), oltre a quella del paziente, per la comprensione di ciò che succede tra di loro nella terapia.
Quali sono alcuni dei contributi più rilevanti degli analisti relazionali alla diagnosi di personalità?
I contributi più rilevanti provenienti dagli analisti relazionali alla diagnosi di personalità riguardano la sensibilità verso elementi quali: Le esperienze non formulate (Stern). La costruzione sociale dei significati (Hoffman). Gli stati molteplici del Sé (Bromberg). La dissociazione (Davies e Frawley). Questi concetti implicano un modo più fluido e dialettico di concepire l'esperienza di Sé, rispetto alla teoria tradizionale.
Come si è evoluta la diagnosi della patologia del carattere dal 19° secolo (Kraepelin) fino a Freud e agli analisti successivi?
Prima dell'avvento della psichiatria descrittiva nel XIX secolo, la diagnosi si basava su una distinzione superficiale tra sano e malato, dove il sano era chi si trovava più o meno d'accordo con la realtà, e il malato chi se ne distaccava. Condizioni come l'isteria, le fobie, le ossessioni e gli stati maniacali o depressivi non psicotici erano considerate difficoltà psicologiche molto vicine alla pazzia, mentre allucinazioni, deliri e disturbi del pensiero erano visti come piena follia. Gli individui oggi definiti antisociali erano considerati affetti da "follia morale", ma si riteneva fossero in contatto con la realtà. Kraepelin è considerato il padre della classificazione diagnostica contemporanea, avendo attentamente osservato i pazienti per identificare sindromi comuni e sviluppato teorie eziologiche che distinguevano tra origini esogene (curabili) ed endogene (incurabili), collocando i disturbi bipolari gravi tra i primi e la schizofrenia tra i secondi. Questo portò a considerare il "pazzo" come affetto da una malattia documentata. Freud superò la mera descrizione, proponendo complesse spiegazioni epigenetiche e distinguendo, verso la fine della sua carriera, tra una condizione ossessiva circoscritta e un carattere ossessivo-compulsivo. Analisti successivi operarono ulteriori distinzioni, identificando, ad esempio, persone ossessive deliranti, ossessive con struttura borderline e ossessive con organizzazione nevrotico-normale. Hanno anche differenziato tra il livello nevrotico di patologia, caratterizzato da una percezione adeguata della realtà, e quello psicotico, con una perdita di contatto con essa. La persona nevrotica riconosce il problema come interno, mentre quella psicotica lo attribuisce al mondo esterno.
Quali sono le differenze tra nevrosi e psicosi secondo Freud e come influenzavano l'approccio terapeutico?
Secondo Freud, e gli analisti fino a metà del XX secolo, la distinzione tra nevrosi e psicosi si basava principalmente sul contatto con la realtà. La nevrosi era caratterizzata da una percezione della realtà sostanzialmente appropriata, dove la sofferenza derivava da difese dell'Io troppo automatiche e inflessibili che impedivano il contatto con le energie dell'Es utilizzabili per attività creative. La persona nevrotica è consapevole che il problema risiede in sé. Al contrario, la psicosi implicava una perdita di contatto con la realtà, e la sofferenza era attribuita a difese dell'Io troppo deboli per contenere il materiale primitivo proveniente dall'Es. La persona psicotica crede che il mondo esterno sia disordinato. Queste differenze influenzavano profondamente l'approccio terapeutico: per il nevrotico, la terapia mirava a indebolire le difese per accedere all'Es e rendere le sue energie disponibili per scopi più costruttivi. Per lo psicotico, l'obiettivo era rafforzare le difese, risolvere le preoccupazioni primitive, mitigare le tensioni esterne, incoraggiare l'esame di realtà e contenere l'Es straripante nell'inconscio.
Confronta la "nevrosi sintomatica" e la "nevrosi del carattere" nella psicologia dell'Io, quali informazioni si cercavano nel colloquio iniziale per distinguerle?
Nella psicologia dell'Io, la "nevrosi sintomatica" si riferiva a una condizione in cui un fattore precipitante attuale aveva attivato un conflitto inconscio, portando il paziente a utilizzare meccanismi disadattivi per affrontarlo. I sintomi erano percepiti come egodistonici, cioè problematici e irrazionali. La "nevrosi del carattere", invece, descriveva difficoltà come espressione di un problema caratteriale o di personalità, con schemi nevrotici che permeavano il carattere stesso. In questo caso, i sintomi erano egosintonici, visti dal paziente come l'unico modo immaginabile per reagire alle circostanze. Per distinguerle nel colloquio iniziale, i terapeuti cercavano le seguenti informazioni:
Se esisteva un fattore precipitante attuale per la difficoltà, o se essa era presente in una certa misura anche in passato.
Se si era verificato un incremento massiccio dell'angoscia (in particolare dei sintomi nevrotici) o solo un peggioramento generale dello stato affettivo.
Se il paziente aveva deciso autonomamente di iniziare la terapia o era stato indirizzato da altri.
Se i sintomi erano considerati egodistonici (problematici) o egosintonici (unici modi di reagire).
Se il paziente era in grado di avere una prospettiva sui propri problemi (un "Io osservante") per sviluppare un'alleanza con il terapeuta contro il sintomo, o se vedeva il clinico come ostile o come un salvatore. In tutte queste alternative, la prima opzione era considerata indicativa di un problema sintomatico, la seconda di un problema del carattere.
Quali sono le implicazioni per il trattamento e la prognosi quando si diagnostica una nevrosi sintomatica rispetto a un problema caratteriale?
Quando si diagnostica una nevrosi sintomatica (corrispondente nel DSM a un disturbo in Asse I senza disturbi di personalità in comorbilità), le implicazioni per il trattamento e la prognosi sono generalmente favorevoli. Il compito del clinico consiste nell'individuare il conflitto inconscio attivato da un fattore precipitante, aiutare il paziente a elaborare le emozioni connesse e sviluppare nuove soluzioni. Il trattamento non richiede necessariamente anni di lavoro, e ci si può aspettare un clima di reciprocità con l'emergere di forti reazioni di transfert e controtransfert. Se invece le difficoltà del paziente sono meglio concettualizzabili come espressione di un problema caratteriale o di personalità, il compito terapeutico è più complesso, difficile e prolungato, e la prognosi più cauta. Non si può dare per scontato che gli obiettivi del paziente e quelli del terapeuta siano compatibili, rendendo centrale il ruolo educativo dell'analista nel comunicare la propria visione del problema e nel "rendere egodistonico ciò che prima era egosintonico". Inoltre, non si può dare per scontata la rapida formazione di un'alleanza di lavoro, che potrebbe richiedere molto tempo (anche più di un anno) a causa della diffidenza del paziente. Il lavoro terapeutico si concentra sullo scioglimento degli intrecci emotivi radicati e sull'elaborazione lenta di nuove modalità di pensare e sentire, spesso legate a traumi ripetuti e antichi schemi di identificazione.
Descrivi come il lavoro terapeutico sul carattere di base differisce da quello su un sintomo, specialmente nel "rendere egodistonico ciò che prima era egosintonico".
Il lavoro terapeutico sul carattere di base differisce significativamente da quello su un sintomo non integrato nella personalità. Mentre con i pazienti affetti da nevrosi sintomatiche si può stabilire rapidamente un'alleanza contro una parte problematica del Sé, il lavoro sul carattere implica un processo più complesso e prolungato.
Le principali differenze includono:
Compatibilità degli obiettivi: Con un problema caratteriale, non si può dare per scontato che ciò che il paziente desidera e ciò che il terapeuta ritiene necessario per la guarigione siano compatibili. Il terapeuta assume un ruolo educativo centrale per comunicare il proprio punto di vista sul problema.
Formazione dell'alleanza: A differenza delle nevrosi sintomatiche, dove i pazienti si alleano facilmente con il terapeuta, nel lavoro sul carattere non si può dare per scontato una rapida alleanza di lavoro. È necessario creare le condizioni affinché essa si sviluppi, poiché i pazienti con problemi di personalità si sentono facilmente soli e attaccati, e la diffidenza è inevitabile e va tollerata. La costruzione di questa alleanza può richiedere anche più di un anno.
Contenuto del lavoro: Il lavoro sul carattere prevede il "diligente scioglimento di tutti gli intrecci che hanno creato quel nodo emotivo che il paziente fino ad allora aveva semplicemente ritenuto l’unico modo in cui le cose dovessero andare", seguito dalla lenta elaborazione di nuove modalità di pensare e sentire. I disturbi di personalità spesso affondano le radici in antichi schemi di identificazione, apprendimento e rinforzo, spesso derivanti da traumi ripetuti.
Il concetto di "rendere egodistonico ciò che prima era egosintonico" è centrale nel lavoro sul carattere. Molti aspetti problematici del carattere sono egosintonici, cioè il paziente li percepisce come parte integrante e "normale" di sé o come l'unico modo possibile di reagire alle circostanze. Il compito del terapeuta è aiutare il paziente a riconoscere che questi schemi, che prima accettava come parte di sé, sono in realtà disadattivi, problematici e irrazionali. Questo processo di "egodistonizzazione" permette al paziente di sviluppare una prospettiva critica sui propri schemi e di attivare la motivazione al cambiamento. Ad esempio, nel caso di una donna con un nucleo psicopatico, si può cercare di modificare schemi dannosi appellandosi al suo orgoglio, piuttosto che alla preoccupazione per gli altri, poiché quest'ultima potrebbe non essere una motivazione egosintonica per lei.
Che cosa ha portato all'emergere della categoria "borderline" nell'ambito della psicopatologia e come è stata inizialmente concettualizzata?
L'emergere della categoria "borderline" nella psicopatologia è stato un processo graduale. Verso la fine del XIX secolo, alcuni psichiatri notarono pazienti che sembravano trovarsi in una "terra di confine" psicologica tra sanità mentale e pazzia. A metà del XX secolo, numerosi analisti lamentarono di pazienti che presentavano disturbi del carattere in modo particolarmente caotico: non erano psicotici (raramente mostravano allucinazioni o deliri), ma mancavano della stabilità e prevedibilità dei pazienti di livello nevrotico. Erano considerati "troppo sani per essere pazzi, e troppo pazzi per essere sani", con una sofferenza più globale e meno comprensibile rispetto ai nevrotici. I terapeuti iniziarono quindi a proporre nuove definizioni diagnostiche per cogliere questa qualità di persone che vivevano al confine tra disturbi caratteriali nevrotici e psicotici. Studi come quello di Grinker nel 1968 e le ricerche empiriche di Gunderson e Singer contribuirono a sottoporre il concetto a verifica. Grazie anche alle riflessioni di autori come Kernberg, il concetto di livello borderline di organizzazione della personalità fu ampiamente accettato nella comunità psicoanalitica. Nel 1980, il termine acquisì legittimazione nel DSM-III come disturbo di personalità, perdendo la sua connotazione originale di "livello di funzionamento". Fu concettualizzato come una condizione di "stabile instabilità" ai confini tra nevrosi e psicosi, caratterizzata da mancanza di integrazione dell'identità e utilizzo di difese primitive, ma senza perdita dell'esame di realtà. I clinici trovarono ispirazione nelle teorie delle relazioni oggettuali e nella rielaborazione di Erikson degli stadi infantili freudiani, che permettevano di distinguere pazienti con fissazione a problemi primari di dipendenza, secondari di separazione-individuazione o a livelli più avanzati di identificazione.
In che modo i concetti di stadi di sviluppo psicologico (Erikson, Mahler) spiegavano le differenze tra pazienti di livello psicotico, borderline e nevrotico?
I concetti di stadi di sviluppo psicologico, in particolare quelli riformulati da Erikson e Mahler, fornivano un quadro per spiegare le differenze osservate tra pazienti di livello psicotico, borderline e nevrotico.
I pazienti in condizione psicotica apparivano fissati a un livello fusionale, precedente alla separazione, in cui non erano in grado di differenziare ciò che è interno da ciò che è esterno. Questo si collegava all'idea di Erikson dello stabilirsi (o meno) di una fiducia di base nella fase orale, riflettendo problemi primari di dipendenza.
I pazienti in condizione borderline erano visti come fissati su conflittualità diadiche tra la fusione totale (che temevano potesse cancellare la loro identità) e il totale isolamento (che equiparavano a un abbandono traumatico). Questo corrispondeva alla fase di separazione-individuazione di Mahler e all'acquisizione dell'autonomia (o sentimenti di vergogna e dubbio) nella fase anale di Erikson.
I pazienti con difficoltà nevrotiche, pur avendo completato il compito di separazione-individuazione, si dibattevano in conflitti più avanzati, ad esempio tra ciò che desideravano e ciò che temevano, come i conflitti edipici e i problemi di identificazione (iniziativa/colpa) di Erikson. Questi modelli evolutivi permettevano di comprendere le diverse profondità e nature delle problematiche che caratterizzavano i tre livelli di organizzazione della personalità.
Quali sono le principali eziologie ipotizzate per l'organizzazione borderline di personalità secondo la letteratura psicoanalitica?
La letteratura psicoanalitica ipotizza che l'organizzazione borderline di personalità sia multideterminata e il risultato di una complessa interazione di fattori. Le principali eziologie ipotizzate includono:
Predisposizioni costituzionali e neurologiche.
Fallimenti evolutivi, in particolare nella fase di separazione-individuazione descritta da Mahler.
Interazione anormale tra madre e bambino in una fase molto precoce dello sviluppo infantile.
Labilità dei confini personali all'interno di sistemi familiari disfunzionali.
Speculazioni sociologiche.
Stili di attaccamento insicuri nell'infanzia.
Mancanza di sintonizzazione genitoriale rispetto all'attaccamento e ai movimenti di separazione e individuazione.
Trauma, in particolare il trauma relazionale precoce vissuto nei contesti di attaccamento e gli abusi sessuali avvenuti nelle successive fasi dell'infanzia o dell'adolescenza. Tutti questi fattori probabilmente giocano un ruolo nello sviluppo della psicologia borderline.
Elenca le caratteristiche chiave della struttura di personalità a livello nevrotico, in particolare riguardo alle difese e al contatto con la realtà.
Le caratteristiche chiave della struttura di personalità a livello nevrotico sono le seguenti:
Difese mature: I pazienti nevrotici ricorrono prevalentemente alle difese più mature o di secondo ordine. Anche se possono utilizzare difese primitive, queste sono meno significative nel loro funzionamento globale e si manifestano solo in situazioni di stress insolito.
Contatto con la realtà: Hanno un solido e stabile contatto con la realtà. Non sono inclini a interpretazioni allucinatorie o deliranti dell'esperienza.
Scarsa distorsione: Tendono ad avere uno scarso bisogno di distorcere la realtà per assimilarla.
Io osservante e scissione terapeutica: Mostrano precocemente in terapia la capacità di realizzare la "scissione terapeutica", ovvero di distinguere tra la parte del Sé che vive l'esperienza e la parte che la osserva.
Egodistonia e apertura al cambiamento: Anche se alcune delle loro difficoltà possono essere egosintoniche, non richiedono al clinico una conferma implicita dei loro modi nevrotici di percepire. Sono aperti a considerare la possibilità che i loro problemi derivino da disposizioni interne piuttosto che esclusivamente esterne.
Alleanza di lavoro positiva: L'esperienza del clinico con i pazienti nevrotici è generalmente positiva. Spesso, fin dalla prima seduta, il terapeuta sente di essere in alleanza con il paziente contro una parte problematica del paziente stesso.
Quali sono i segni distintivi di un paziente con struttura di personalità a livello psicotico, anche quando "compensato"?
I segni distintivi di un paziente con struttura di personalità a livello psicotico, anche quando "compensato" (cioè senza mostrare evidenti segni di confusione interiore a meno che non sia sottoposto a intensa tensione), includono:
Manifestazioni conclamate: Allucinazioni, deliri, idee di riferimento e pensiero illogico.
Confusione interiore latente: Anche se apparentemente "compensati", questi individui possono rivelare la loro profonda confusione interiore sotto stress intenso.
Gravi difficoltà con l'identità: Non sono pienamente sicuri di esistere e sono profondamente confusi riguardo alla propria identità (immagine corporea, età, genere, orientamento sessuale).
Mancanza di continuità del Sé: Non riescono a percepire una continuità del proprio Sé e vivono nel timore di "trasformazioni malevole" in cui persone fidate diventano persecutori.
Descrizioni vaghe e distorte: Le descrizioni di sé o di altri significativi sono vaghe, evasive, letterali o palesemente distorte.
Mancanza di ancoraggio alla realtà: Non sono ancorati alla realtà.
Incapacità di funzione riflessiva: Hanno una netta incapacità di avere una visione articolata dei propri problemi psicologici, mancando della "funzione riflessiva". Anche se possono usare un linguaggio che suggerisce auto-osservazione, spesso ripetono meccanicamente ciò che hanno sentito dire di loro nel tentativo di ridurre l'angoscia.
Conflitto esistenziale: La loro sofferenza deriva da un impiego massiccio di energia per combattere un "terrore esistenziale" che li priva di risorse per affrontare la realtà.
Quali difese primarie sono utilizzate dalle persone con struttura di personalità a livello psicotico e come le proteggono?
Le persone con struttura di personalità a livello psicotico utilizzano una serie di difese primarie (o di ordine inferiore), che operano in modo globale e indifferenziato, fondendo dimensioni cognitive, affettive e comportamentali. Queste difese sono preverbali e prerazionali e includono:
Chiusura (ritiro)
Diniego
Controllo onnipotente
Idealizzazione e svalutazione primitive
Forme primitive di proiezione e introiezione
Scissione
Dissociazione estrema
Acting out
Somatizzazione
Queste difese le proteggono da un livello di "terrore senza nome" talmente soverchiante che persino le spaventose distorsioni che esse stesse creano sono considerate un male minore. Agiscono per evitare sentimenti intensi e minacciosi, come l'ansia o sentimenti intollerabili di perdita, vergogna e invidia, e per mantenere l'autostima. L'assenza di difese mature, piuttosto che la sola presenza di quelle primitive, è ciò che definisce la struttura psicotica.
Qual è la natura del conflitto primario nelle persone con struttura di personalità a livello psicotico e quali sono le sue implicazioni esistenziali?
Nelle persone con struttura di personalità a livello psicotico, la natura del conflitto primario è profondamente esistenziale, ruotando intorno a dicotomie fondamentali come vita e morte, esistenza e annullamento, sicurezza e terrore.
Le implicazioni esistenziali di questo conflitto sono molteplici:
Gli studi sulle famiglie di soggetti schizofrenici hanno evidenziato che i bambini psicotici spesso ricevono messaggi sottili che li portano a non percepirsi come persone separate, ma piuttosto come un'estensione di qualcun altro.
Di conseguenza, a queste persone può mancare una profonda convinzione del proprio diritto a un'esistenza separata, o addirittura possono non avere un sentimento di esistere.
Dal punto di vista della psicologia dell'Io, la loro sofferenza deriva dalla spesa di un'enorme quantità di energia per combattere questo terrore esistenziale, lasciando loro poche risorse per affrontare la realtà. Inoltre, vi è una mancanza di differenziazione interiore tra Es, Io e Super-Io, e tra la parte dell'Io che vive le esperienze e quella che osserva.
Teorie interpersonali, delle relazioni oggettuali e della psicologia del Sé sottolineano l'incertezza dei confini tra esperienza interna ed esterna e le carenze nella fiducia di base che rendono soggettivamente troppo pericoloso per lo psicotico entrare in relazione con il mondo del terapeuta.
In che modo il controtransfert con i pazienti psicotici differisce da quello con i nevrotici e quali sentimenti genera nel terapeuta?
Il controtransfert con i pazienti psicotici differisce notevolmente da quello con i nevrotici. Mentre il controtransfert con i nevrotici non è dettagliato in questa sezione, quello con gli psicotici è caratterizzato da specifici sentimenti e dinamiche:
Generazione di sentimenti positivi: I pazienti psicotici, essendo disperatamente privi di relazioni umane fondamentali e di speranza, sono spesso deferenti e grati verso un terapeuta che vada oltre la mera classificazione e prescrizione di farmaci, suscitando un controtransfert positivo e commovente nel clinico.
Atteggiamento del terapeuta: Il terapeuta tende a provare un senso di maggiore onnipotenza soggettiva, protettività genitoriale e sensibilità empatica nei confronti degli psicotici rispetto ai nevrotici.
Apprezzamento e dipendenza: Gli psicotici apprezzano la sincerità del terapeuta, i suoi sforzi educativi e rispondono con sollievo ai tentativi di normalizzazione dei loro problemi. La loro propensione alla fusione primitiva e all'idealizzazione può far sentire il terapeuta molto forte e ben disposto.
Peso della responsabilità: Tuttavia, questa intensa dipendenza si traduce in un peso significativo di responsabilità psicologica per il terapeuta.
Similitudine con la relazione madre-bambino: Il controtransfert con lo psicotico è paragonato ai normali sentimenti materni verso un bambino di meno di un anno e mezzo: "meraviglioso nel suo attaccamento e terrificante nei suoi bisogni", spingendo al limite le risorse personali del clinico. Non è caratterizzato da opposizione o irritazione, a differenza di quanto implicitamente suggerito per altre categorie di pazienti.
Quali sono le principali caratteristiche della struttura di personalità borderline in termini di difese primitive e integrazione dell'identità?
Le principali caratteristiche della struttura di personalità borderline, come organizzazione di confine tra nevrosi e psicosi, sono:
Impiego di difese primitive: L'uso di difese arcaiche e globali è una delle caratteristiche più evidenti. Queste includono il diniego, l'identificazione proiettiva e la scissione. In condizioni regressive, i pazienti borderline sono difficilmente distinguibili dagli psicotici.
Ricettività all'interpretazione delle difese: Una differenza cruciale rispetto agli psicotici è che i pazienti borderline mostrano almeno una temporanea ricettività quando il terapeuta interpreta l'azione di una modalità primitiva di esperienza, mentre gli psicotici diventano più agitati.
Integrazione dell'identità incoerente e discontinua: Hanno un'esperienza di sé caratterizzata da incoerenza e discontinuità. Alla richiesta di descrivere la propria personalità o le persone importanti della loro vita, reagiscono con grande imbarazzo e non sanno fornire descrizioni tridimensionali ed evocative.
Non letteralità nelle descrizioni: A differenza degli psicotici, le loro risposte non sono mai letterali o evasive al punto di essere bizzarre; tendono a respingere l'interesse del terapeuta sulla complessa natura degli individui, inclusi loro stessi.
Mancanza di funzione riflessiva/mentalizzazione: Hanno un attaccamento insicuro e sono privi della capacità di mentalizzare, ovvero di attribuire significato ai propri e altrui comportamenti riconoscendo la soggettività degli altri come separata dalla propria. In termini filosofici, manca loro una "teoria della mente".
Problemi di tolleranza e regolazione degli affetti: Sono inclini a diventare ostili quando si fanno notare i loro limiti nell'integrazione dell'identità e spesso si arrabbiano dove altri proverebbero vergogna, invidia, tristezza o affetti più sfumati.
Confusione dell'identità con senso di esistenza: Sebbene possano avere confusione dell'identità, sanno di esistere, a differenza dello schizofrenico, che può non essere sicuro della propria esistenza.
Ostilità alle domande sull'identità: Reagiscono più spesso con ostilità rispetto agli psicotici a domande sull'identità propria e altrui.
Difetto di base nel senso del Sé: Condividono con gli psicotici un difetto di base nel senso del Sé.
Confronta l'esame di realtà nei pazienti borderline e psicotici e spiega la tecnica di Kernberg per la diagnosi differenziale.
La differenza radicale tra pazienti borderline e psicotici risiede nell'esame di realtà. I pazienti borderline dimostrano di saper valutare la realtà, il loro esame di realtà è intatto, sebbene limitato nella capacità di osservare la propria patologia. Al contrario, i pazienti psicotici non sono ancorati alla realtà e presentano un esame di realtà compromesso.
Per fare una diagnosi differenziale tra questi due livelli di organizzazione, Kernberg consiglia una tecnica specifica:
Indagare la percezione della realtà convenzionale individuando qualche aspetto insolito nell'autopresentazione del paziente.
Commentare tale aspetto in modo neutro.
Chiedere al paziente se si rende conto che altre persone potrebbero trovarlo singolare.
Esempio: "Noto che lei ha un tatuaggio sulla guancia in cui si legge: 'morte'; capisce che a me o ad altri potrebbe sembrare strano?".
La persona borderline riconoscerà che l'elemento è poco convenzionale e che gli altri potrebbero non capirne il significato.
La persona psicotica si sentirà invece spaventata e confusa, poiché la sensazione di non essere compreso è per lei profondamente disturbante. Questa tecnica permette di sondare la capacità del paziente di percepire la convenzionalità e la prospettiva altrui, distinguendo così tra un esame di realtà preservato (borderline) e uno compromesso (psicotico).
Qual è il dilemma centrale dei clienti borderline nelle relazioni e come si manifesta nella relazione terapeutica?
Il dilemma centrale dei clienti borderline nelle relazioni è la loro oscillazione caotica tra un attaccamento simbiotico e una separatezza ostile e isolata. Entrambi questi stati sono profondamente disturbanti: l'attaccamento simbiotico fa emergere lo spettro dell'inglobamento, con la paura di perdere la propria identità, mentre la separatezza ostile è equiparata a un abbandono traumatico. Hanno un attaccamento insicuro e si dibattono su conflittualità diadiche tra fusione totale e isolamento.
Nella relazione terapeutica, questo dilemma si manifesta in diversi modi:
L'alleanza terapeutica è difficile da stabilire e può richiedere anni, a differenza dei pazienti nevrotici.
Il paziente non possiede un Io osservante integrato e oscilla tra diversi stati dell'Io, rendendo difficile per il terapeuta stabilire una prospettiva comune.
Gli interventi terapeutici spesso vengono percepiti come attacchi, poiché il paziente interpreta qualsiasi osservazione come una critica al proprio Sé, dato che le sue capacità di funzione riflessiva sono ridotte, specialmente in stati di agitazione.
I transfert sono intensi, privi di ambivalenza e resistenti alle interpretazioni tradizionali. Il terapeuta può essere percepito come totalmente buono o totalmente cattivo.
Le interpretazioni "genetiche" (che collegano le reazioni attuali a figure passate) sono spesso inefficaci; il paziente potrebbe semplicemente concordare che il terapeuta si comporta come l'oggetto precedente o ignorare il significato.
Le reazioni di controtransfert sono intense e disturbanti, potendo manifestarsi come sentimenti negativi o persino distruttivi nel terapeuta, che può sentirsi come la madre del paziente, diviso tra l'eccessiva sollecitudine e il desiderio di punire. Il primo compito del terapeuta è resistere a queste "tempeste" relazional
Qual è il vantaggio principale per il terapeuta nel concettualizzare ogni cliente dal punto di vista evolutivo?
Il maggior vantaggio per il terapeuta nel concettualizzare ogni cliente dal punto di vista evolutivo consiste nella possibilità di farsi un'idea di cosa sia ragionevole attendersi da ciascuno di essi con un trattamento di buon livello. Avere aspettative differenziate per pazienti con diversi livelli di sviluppo del carattere consente al terapeuta di proteggere il paziente dalla demoralizzazione e se stesso dal senso di fallimento.
In che modo gli approcci clinici ai livelli di organizzazione della personalità sono cambiati negli ultimi anni, con particolare riferimento alla "svolta relazionale" e alle nuove terapie?
Dagli anni '90, gli approcci clinici ai livelli di organizzazione della personalità hanno subito notevoli cambiamenti. Gli analisti relazionali hanno messo in discussione l'oggettività e la neutralità dell'analista, criticando la generalizzazione delle strutture caratteriali e ponendo l'accento sulla co-costruzione della diade paziente-terapeuta. Negli ultimi anni, sono state sviluppate terapie specifiche per il trattamento dell'organizzazione borderline di personalità, tra cui la terapia dialettico-comportamentale, la schema therapy, la psicoterapia focalizzata sul transfert e la terapia basata sulla mentalizzazione, che si affiancano alla psicoterapia espressiva di Kernberg. L'obiettivo finale di ogni terapia psicodinamica è assistere la persona nella realizzazione del compito evolutivo necessario, dal pieno sviluppo della creatività alla consapevolezza di esistere e meritare di vivere.
Per quali pazienti la psicoanalisi "standard" è più adatta e quali sono i suoi obiettivi per i pazienti nevrotici?
La psicoanalisi "standard" è più adatta ai pazienti di chiaro livello nevrotico che ambiscono a modificare il proprio carattere o a raggiungere una più profonda conoscenza di sé. Le tecniche classiche freudiane, come sedute frequenti, associazioni libere, uso del lettino, attenzione al transfert e alle resistenze, e un contratto a lunga scadenza, si sono dimostrate meno idonee per altri tipi di pazienti. Per i pazienti nevrotici, gli obiettivi includono la comprensione completa della propria personalità e il raggiungimento del più alto livello possibile di sviluppo e cambiamento. È più semplice condurre la terapia con pazienti più sani grazie alla loro fiducia di base, alto grado di autonomia e soddisfacente senso di identità.
Confronta la psicoanalisi intensiva e la terapia psicoanalitica (meno intensiva) per i pazienti nevrotici.
Per i pazienti nevrotici, la psicoanalisi intensiva è indicata quando si ricerca una comprensione completa della personalità e il massimo livello di sviluppo e cambiamento. Questo tipo di trattamento richiede un impegno significativo di tempo, denaro ed energia emotiva, spesso con sedute frequenti (anche quattro o tre a settimana) e l'uso del lettino. La terapia psicoanalitica (meno intensiva) è adatta per i pazienti nevrotici che non possono o non desiderano assumere tale impegno. In questo caso, le sedute sono meno di tre a settimana e si svolgono solitamente vis-a-vis. Il terapeuta è più attivo nel focalizzare temi significativi e non incoraggia la regressione emotiva o lo sviluppo di una nevrosi da transfert. Entrambe sono considerate terapie "esplorative", "di svelamento" o "espressive", orientate all'insight, con l'obiettivo di rendere il paziente più aperto alle emozioni e superare le difese, promuovendo la conoscenza di sé per ridurre i conflitti e favorire la crescita. Le terapie analitiche a breve termine sono anch'esse indicate per i nevrotici, che sono in grado di cooperare con il terapeuta e percepire benevolenza.
Qual è la caratteristica più importante da comprendere sui pazienti di livello psicotico e qual è l'approccio terapeutico elettivo per loro?
La caratteristica più importante da comprendere sui pazienti di livello psicotico o con disturbi psicotici è che sono terrorizzati. Essi sono privi di un senso basilare di sicurezza nel mondo e temono l'annichilimento imminente. Per questi pazienti, l'approccio terapeutico elettivo è la psicoterapia di sostegno, che enfatizza il supporto attivo della dignità, dell'autostima e della forza dell'Io del paziente, oltre a rispondere ai suoi bisogni di informazione e guida. Approcci ambigui, tipici della terapia analitica con i nevrotici, aumenterebbero il loro terrore.
In che modo il terapeuta può dimostrare affidabilità e onestà ai pazienti di livello psicotico, specialmente riguardo all'espressione emotiva e all'onorario?
Il terapeuta può dimostrare affidabilità e onestà ai pazienti di livello psicotico agendo ripetutamente in modo contrario alle loro aspettative più spaventose, confermando la propria diversità da immagini autoritarie ostili. Questo include il riconoscimento di aspetti positivi e creativi anche nei sintomi bizzarri del paziente. Riguardo all'espressione emotiva, i pazienti psicotici richiedono una maggiore apertura emotiva. Se un paziente psicotico chiede se il terapeuta è arrabbiato, è opportuno rispondere in modo onesto, ad esempio: "lei è molto percettivo, credo di essere leggermente irritato, perché ho l’impressione di non riuscire ad aiutarla con la rapidità che vorrei. Per quale ragione me lo chiede?". Si invitano i pazienti a esplorare le proprie percezioni dopo aver depotenziato direttamente le preoccupazioni. Per quanto riguarda l'onorario, è fondamentale fornire spiegazioni esplicite. In risposta a domande sull'onorario, il terapeuta dovrebbe comunicare onestamente: "Ciò che faccio deve essere pagato perché questo è il modo in cui mi guadagno da vivere, aiutando le persone che hanno problemi emotivi. Inoltre, ho imparato che, se abbasso l’onorario, provo risentimento verso il paziente, e non credo di poter aiutare veramente qualcuno se provo risentimento". Questa comunicazione onesta è accolta con sollievo. Inoltre, il terapeuta può offrire un aiuto più specifico e diretto rispetto a pazienti più sani, assumendo un tono autorevole ma non autoritario, che infonde sicurezza.
Descrivi il ruolo educativo del terapeuta con i pazienti psicotici e l'importanza della normalizzazione delle loro preoccupazioni.
Il ruolo educativo del terapeuta con i pazienti psicotici è fondamentale poiché questi individui presentano grande confusione cognitiva, specialmente riguardo a emozioni e fantasie. Essendo spesso cresciuti in ambienti con linguaggio emotivo paralizzante o distorto, necessitano di informazioni esplicite su cosa siano i sentimenti, come si distinguano dalle azioni e come si trasformino in fantasie. L'importanza della normalizzazione delle loro preoccupazioni è cruciale: il terapeuta deve sollecitare attivamente le preoccupazioni del cliente e riformulare pensieri e sentimenti spaventosi come elementi naturali dell'emotività umana. Questo atteggiamento educativo è vitale per l'equilibrio emotivo, riducendo il terrore di impazzire e introducendo il cliente a una maggiore complessità psicologica. Interventi che accolgono, anziché stigmatizzare, offrono sollievo immediato e sono efficaci.
Come si dovrebbero interpretare i sentimenti e le tensioni emotive con i pazienti psicotici, evitando di interpretare direttamente le difese?
Con i pazienti psicotici, si devono interpretare i sentimenti e le tensioni emotive, piuttosto che le difese. È cruciale evitare di interpretare direttamente la difesa proiettiva o di opporre la propria visione della realtà, poiché ciò potrebbe far temere al paziente che il terapeuta sia alleato con i persecutori. Il terapeuta dovrebbe attendere una pausa del paziente, poi commentare il suo turbamento ("Oggi sembra più turbato del solito") senza implicare pazzia. Successivamente, si aiuta il cliente a identificare la causa dell'intensità affettiva, spesso legata a situazioni di vita come separazioni, esprimendo empatia per il disorientamento. A volte è necessario tollerare di apparentemente confermare le distorsioni del paziente, per costruire un'alleanza che permetta al paziente di sentirsi compreso e accettare riflessioni future. Ad esempio, di fronte ad accuse deliranti, il terapeuta può rispondere: “Mi dispiace, se ho avuto qualche relazione con questo complotto, non me ne sono reso conto. Che cosa sta succedendo?”. Questo permette al paziente di sfogarsi, portando a una comprensione meno spaventosa dei fatti, e solo dopo si possono introdurre cautamente spiegazioni alternative.
Qual è lo scopo generale della terapia per le persone con struttura borderline e quali capacità si mira a sviluppare?
Lo scopo generale della terapia per le persone con struttura borderline è lo sviluppo di un senso di sé integrato, complesso, affidabile e positivamente valutato. Parallelamente, si mira a sviluppare la capacità di amare pienamente gli altri nonostante i loro difetti e contraddizioni, e di tollerare e regolare un'ampia gamma di emozioni. L'obiettivo è un graduale passaggio da una reattività capricciosa a un ricordo più stabile delle proprie percezioni, sentimenti e valori.
Perché è cruciale stabilire condizioni costanti e confini chiari nella terapia con pazienti borderline e come reagiscono a questi limiti?
È cruciale stabilire condizioni costanti e confini chiari nella terapia con pazienti borderline a causa dell'instabilità del loro stato dell'Io. La cornice terapeutica, che include accordi su tempo, onorario e altre decisioni sui limiti della relazione, è fondamentale per mantenere saldo il trattamento e limitare comportamenti autodistruttivi. Mentre con pazienti nevrotici o psicotici si può essere più elastici, con i borderline i confini devono essere posti, osservati con coerenza e rinforzati con sanzioni in caso di mancato rispetto, dato che le questioni sui limiti sono potenzialmente infinite per loro. I pazienti borderline spesso reagiscono con rabbia ai limiti posti dal clinico. Tuttavia, da questa reazione ricevono due messaggi terapeutici importanti: il terapeuta li considera adulti capaci di tollerare la frustrazione e rifiuta di essere usato, offrendo così un modello di rispetto di sé.
In che modo il terapeuta dovrebbe parlare con un cliente borderline per essere percepito empatico, specialmente riguardo agli stati affettivi contrastanti?
Per essere percepito empatico con un cliente borderline, specialmente riguardo agli stati affettivi contrastanti, il terapeuta dovrebbe evitare interpretazioni che facciano sentire il paziente criticato o sminuito, come se fosse "del tutto in errore su ciò che provi realmente". È più efficace esprimersi riconoscendo gli stati affettivi contrastanti del paziente senza invalidarli. Ad esempio, si può dire: "Lei ha sicuramente dimostrato di possedere una notevole dose di indipendenza e sicurezza. Tale sicurezza però sembra coesistere con alcune tendenze opposte, come una certa sensibilità a ciò che io penso di lei". Interventi di questo tipo hanno maggiori probabilità di essere compresi nel loro significato autentico.
Descrivi la differenza nell'interpretazione delle difese primitive con i pazienti borderline rispetto ai nevrotici (es. interpretazioni genetiche vs qui e ora).
Con i pazienti nevrotici, l'interpretazione delle difese primitive può avvenire tramite interpretazioni genetiche o "storiche", collegando le reazioni di transfert a sentimenti verso figure del passato. Ad esempio, il terapeuta può suggerire che la rabbia attuale sia rivolta verso di lui perché percepito come la madre, e il paziente nevrotico di solito accetta tale ipotesi e riflette sulle differenze. Con i pazienti borderline, invece, le interpretazioni genetiche non sono utili e possono evocare risposte come "E quindi?" o "E questo come dovrebbe aiutarmi?". L'approccio efficace è interpretare la natura della situazione emotiva nel "qui e ora" con il terapeuta. Questo perché i borderline, a differenza dei nevrotici, quando proiettano (spesso tramite identificazione proiettiva) non si liberano completamente del sentimento proiettato e non hanno un Io osservante integrato per riconoscere la proiezione come egodistonica, pur mantenendo l'esame di realtà. L'interpretazione deve confrontare la difesa primitiva in atto, cercando di far consolidare al paziente una visione del Sé e delle emozioni che vada oltre il "tutto o nulla", accettando la coesistenza di aspetti buoni e cattivi.
Spiega la tecnica di "ricevere supervisione dal paziente" con i clienti borderline e il suo valore terapeutico.
La tecnica di "ricevere supervisione dal paziente" con i clienti borderline consiste nel chiedere direttamente al paziente aiuto per risolvere dilemmi terapeutici che altrimenti porrebbero il terapeuta in una posizione di fallimento, data la tendenza borderline a percepire le situazioni in termini di "tutto o nulla". I pazienti borderline spesso presentano al terapeuta due opzioni mutualmente esclusive, entrambe percepite come sbagliate. Invece di scegliere, il terapeuta chiede al paziente come desidera che si comporti in momenti di stallo o ambivalenza. Il valore terapeutico di questa tecnica è molteplice: offre un modello di accettazione dell'incertezza, afferma la dignità e la creatività del paziente, e sottolinea la natura cooperativa e non giudicante del lavoro terapeutico. L'esempio clinico mostra come questa strategia possa facilitare la nascita della capacità del paziente di sentirsi una persona separata in presenza dell'altro.
In che modo il terapeuta dovrebbe incoraggiare l'individuazione e scoraggiare la regressione nei pazienti borderline, secondo Masterson?
Secondo Masterson, il terapeuta dovrebbe incoraggiare l'individuazione e scoraggiare la regressione nei pazienti borderline agendo in modo opposto alle madri che hanno incoraggiato i loro comportamenti di dipendenza. Questo significa denunciare attivamente i comportamenti regressivi e autodistruttivi del paziente, mentre incoraggia empaticamente ogni sforzo verso l'autonomia e la competenza. L'attaccamento dipendente non offre ai pazienti borderline una base per l'autostima, quindi il terapeuta deve scoraggiarlo e focalizzarsi sugli elementi adattivi ed evolutivi, anche nelle manifestazioni negative di autoaffermazione.
Qual è il momento migliore per fare interpretazioni con i pazienti borderline e perché?
Il momento migliore per fare interpretazioni con i pazienti borderline è dopo che uno stato di intensa emotività (come rabbia, panico o regressione disperata) è cessato e il paziente si sente interiormente sicuro di aver superato quei vissuti disturbanti. Questo perché, a differenza dei pazienti nevrotici che beneficiano di interpretazioni durante l'agitazione emotiva, i borderline in tali condizioni sono troppo turbati per recepire qualsiasi cosa. È possibile fare commenti su ciò che è accaduto, ma solo in un momento di quiete.
Qual è il ruolo centrale del controtransfert nella comprensione dei pazienti borderline e come il terapeuta dovrebbe gestirlo?
Il ruolo centrale del controtransfert nella comprensione dei pazienti borderline risiede nel fatto che essi comunicano attraverso un'affettività intensa e non verbalizzabile, e le risposte intuitive, affettive e immaginali del terapeuta spesso forniscono informazioni più accurate sullo stato interiore del paziente rispetto alle sole parole. Sentimenti improvvisi di noia, rabbia, panico o desiderio di salvare possono essere indotti inconsciamente dal paziente e rivelare aspetti importanti del suo mondo interno. Il terapeuta dovrebbe gestire il controtransfert riconoscendo che esso è sempre un misto di materiale interno proprio e di materiale stimolato dal paziente. È fondamentale che il clinico abbia una profonda comprensione delle proprie dinamiche interiori e si assuma la responsabilità emotiva delle proprie reazioni, anche se provocate dal paziente. Il terapeuta deve evitare sia di attribuire tutto al paziente (rischiando danni in nome di concetti come l'identificazione proiettiva) sia di considerare il controtransfert esclusivamente come "farina del proprio sacco", poiché entrambi gli estremi ostacolano il progresso clinico. Le interpretazioni devono essere offerte come ipotesi, stimolando la discussione e permettendo al paziente di indicare eventuali errori del terapeuta.
Qual è l'importanza dell'autenticità emotiva del terapeuta con i pazienti borderline?
L'importanza dell'autenticità emotiva del terapeuta con i pazienti borderline risiede nel fatto che essere emotivamente più "autentici" è preferibile rispetto a un atteggiamento di neutralità, che può risultare falso e rigido. Essere in grado di esprimere alcune emozioni, in un modo appropriato, non fa chiudere il paziente borderline in se stesso; al contrario, questi pazienti, che conoscono la difficoltà di gestire le emozioni, ne traggono beneficio. Ad esempio, di fronte a comportamenti autodistruttivi, una risposta come: "Come sa il mio lavoro è provare ad aiutarla ad essere meno autodistruttiva, pertanto è normale che quando lei è più autodistruttiva io mi dispiaccia. Cosa prova lei quando io vengo irritato dai suoi comportamenti?" è più efficace di una domanda neutrale sulle fantasie del paziente, perché valida l'esperienza emotiva del terapeuta senza giudicare quella del paziente
.
muwah
.
muwah muwah
In che modo gli psicoterapeuti orientati analiticamente raffigurano la struttura di personalità dei loro pazienti lungo l'asse evolutivo e tipologico?
Gli psicoterapeuti orientati analiticamente raffigurano implicitamente la struttura di personalità dei loro pazienti lungo un asse evolutivo e uno tipologico. L'asse evolutivo è un continuum diviso in tre categorie principali di organizzazione (psicotico, borderline, nevrotico/normale), con differenze di livello graduali. L'asse tipologico, invece, identifica il tipo di carattere (es. paranoide, depressivo, schizoide). Per ogni categoria sull'asse orizzontale (tipologica) esiste una gamma di patologia del carattere che varia dall'area psicotica a quella nevrotico-sana.
Come si distribuiscono le categorie diagnostiche che rappresentano l'uso abituale di difese primarie o mature lungo il continuum psicotico-nevrotico?
Le persone non sono distribuite uniformemente in tutti i punti del continuum psicotico-nevrotico. Le categorie diagnostiche che rappresentano l'uso abituale di difese primarie tendono a saturare maggiormente verso l'estremo psicotico del continuum evolutivo. Ad esempio, gli individui paranoidi, che dipendono dal diniego e dalla proiezione, sono raggruppati prevalentemente all'estremità inferiore (psicotica) dell'asse evolutivo. Al contrario, le categorie tipologiche che rappresentano l'uso di difese più mature saturano maggiormente verso il polo nevrotico. Una proporzione più ampia di persone ossessive, ad esempio, si trova all'estremità nevrotica della dimensione ossessiva. Molti individui con schemi di personalità disadattivi che suggeriscono un disturbo di personalità si collocano nella gamma borderli
Spiega il concetto di "difesa" in psicoanalisi, sia nella sua origine freudiana che nella sua accezione più ampia, includendo le sue funzioni positive.
Il concetto di difesa in psicoanalisi ha radici nell'osservazione di Freud che le operazioni psicologiche possono essere paragonate a manovre tattiche militari. Inizialmente, Freud osservò le difese (come la rimozione, la conversione e la dissociazione) nella loro funzione di evitare un dolore insopportabile, sebbene ciò avvenisse a un costo elevato per il funzionamento globale del paziente. In questo contesto iniziale, il compito del medico era diminuirne il potere, portando a una connotazione negativa del termine "difesa".
In un'accezione più ampia e contemporanea, gli analisti non considerano le difese necessariamente patologiche; talvolta, una carenza di difese può persino causare problemi, come le "decompensazioni" psicotiche. Le difese hanno molte funzioni positive, manifestandosi come adattamenti sani e creativi che operano in senso adattivo per tutta la vita. Quando agiscono per difendere il Sé da una minaccia, il loro scopo è principalmente duplice: 1) evitare o gestire sentimenti intensi o minacciosi (come ansia, perdita, vergogna, invidia o altre esperienze emotive disorganizzanti) e 2) mantenere l'autostima.
Quali sono i quattro fattori principali che influenzano il ricorso preferenziale e automatico a una particolare difesa?
Il ricorso preferenziale e automatico a una particolare difesa o a una serie di difese è il risultato di un'interazione complessa tra almeno quattro fattori principali:
Il temperamento costituzionale dell'individuo.
La natura dei disagi subiti nella prima infanzia.
Le difese presentate dai genitori e da altre figure significative.
Le conseguenze sperimentate dall'uso di particolari difese (effetti di rinforzo).
Quali sono le due qualità principali che definiscono una difesa come "primaria" o "di ordine inferiore"?
Le difese considerate "primarie", "immature", "primitive" o "di ordine inferiore" si sviluppano precocemente e operano in modo globale e indifferenziato in tutta la dimensione sensoriale della persona, fondendo dimensioni cognitive, affettive e comportamentali. Per essere definite primarie, devono mostrare due qualità associate alla fase preverbale dello sviluppo:
Il mancato raggiungimento del principio di realtà.
La mancata percezione della separatezza e della costanza di coloro che sono esterni al Sé.
Queste difese sono considerate i modi naturali in cui il bambino piccolo percepisce il mondo e diventano un problema solo in assenza di capacità psicologiche più mature o se utilizzate in modo insistente ed esclusivo. È l'assenza di difese mature, piuttosto che la presenza di quelle primitive, a definire una struttura borderline o psicotica.
Che cos'è il ritiro estremo e quali sono i suoi vantaggi e svantaggi come strategia difensiva, con particolare riferimento alla personalità schizoide?
Il ritiro estremo è un meccanismo di difesa che consiste nel ritirarsi nel proprio mondo di fantasia interiore di fronte a situazioni sociali o personali angoscianti o problematiche. Questo processo è una risposta autoprotettiva automatica, osservabile già nei bambini (ad esempio, addormentarsi quando sovrastimolati). Negli adulti, si manifesta come la tendenza a sottrarsi a situazioni sociali o interpersonali, sostituendo lo stimolo del proprio mondo fantastico alle tensioni della relazione con gli altri, o anche attraverso l'uso di sostanze psicotrope per alterare la coscienza. La personalità schizoide è l'esito caratteriale di un affidamento a questa difesa.
Il principale vantaggio del ritiro come strategia difensiva è che, pur implicando una fuga psicologica dalla realtà, richiede scarsa distorsione della realtà stessa. Chi vi ricorre trova conforto nel distaccarsi dal mondo, piuttosto che nel fraintenderlo. All'estremità più sana della scala schizoide, questo può tradursi in notevole creatività (artisti, scrittori, teorici, filosofi) la cui capacità di mantenersi al di fuori delle convenzioni ordinarie favorisce l'originalità.
Lo svantaggio evidente del ritiro è che esso estrania la persona dalla partecipazione attiva alla soluzione interpersonale dei problemi.
Definisci il diniego e fornisci esempi delle sue manifestazioni benigne e problematiche, inclusa la sua connessione con la maniacalità.
Il diniego è un meccanismo di difesa che implica l'esclusione automatica di una parte spiacevole, indesiderata o insopportabile della realtà esterna. Questa esclusione può avvenire sia attraverso una fantasia che esaudisce un desiderio, sia attraverso il comportamento, distaccando e disconoscendo un aspetto della realtà dall'Io cosciente. È un modo precoce in cui il bambino affronta le esperienze spiacevoli, rifiutando di accettare che stiano accadendo.
Le sue manifestazioni benigne includono l'operare automaticamente come prima reazione a eventi catastrofici per rendere la vita meno sgradevole. In situazioni di grave crisi o emergenza, la capacità di negare emotivamente il rischio per la sopravvivenza può essere salvifica, consentendo di compiere azioni realisticamente efficaci.
Nelle sue forme problematiche, il diniego può avere esiti negativi, come nel caso di coniugi che negano la pericolosità di un partner violento, alcolisti che insistono di non avere problemi con il bere, o persone anziane che non smettono di guidare nonostante evidenti problemi. È una componente rintracciabile anche in difese più mature, come nella razionalizzazione.
L'esempio più evidente di psicopatologia definita dall'uso del diniego è la maniacalità. In uno stato maniacale, le persone possono negare le proprie limitazioni fisiche, la necessità di dormire, le emergenze finanziarie, le debolezze personali e persino la propria mortalità.
Che cos'è il controllo onnipotente e come si manifesta nello sviluppo infantile e nella personalità psicopatica?
Il controllo onnipotente è un meccanismo di difesa in base al quale l'individuo cerca di gestire pensieri ed emozioni angosciose o inaccettabili pensando e comportandosi come se possedesse un potere senza limiti.
Nello sviluppo infantile, per il neonato il mondo e il Sé sono un'unica cosa, e la fonte di tutti gli eventi è percepita come in qualche modo interna. Il bambino, ad esempio, quando ha freddo e viene riscaldato, vive l'esperienza come se il calore fosse stato generato dal suo stesso potere. Questa percezione di onnipotenza viene gradualmente attribuita alle figure primarie di accudimento e, con la maturazione, si confronta con il fatto meno rassicurante che nessuno ha un potere illimitato. Residui sani di questo senso di onnipotenza infantile contribuiscono a farci sentire competenti ed efficaci.
Nella personalità psicopatica, alcune persone hanno un bisogno irresistibile di provare un senso di controllo onnipotente e di interpretare le esperienze come frutto del proprio illimitato potere, con ogni altra preoccupazione pratica ed etica che ha un'importanza solo secondaria. Per gli individui con personalità dominate dal controllo onnipotente, "avere potere" sugli altri è una preoccupazione e un piacere centrale.
Spiega i meccanismi di idealizzazione e svalutazione estreme e la loro relazione inevitabile, con un riferimento alla personalità narcisistica.
L'idealizzazione è un meccanismo di difesa che consiste nella costruzione di caratteristiche (del Sé o dell'oggetto) onnipotenti e non rispondenti alla realtà oggettiva, al fine di proteggere i bisogni narcisistici. Si proietta su una persona una "perfezione" che non c'è. Questo bisogno si origina nell'infanzia, dove il bambino ha bisogno di credere che i genitori possano proteggerlo da tutti i pericoli. In alcune persone, questo bisogno di idealizzare rimane relativamente immodificato dall'infanzia, manifestandosi come sforzi arcaici e disperati di contrastare il terrore interno con la convinzione dell'esistenza di una figura di attaccamento onnipotente, onnisciente e amorevole, con la quale la fusione può portare salvezza.
La svalutazione è l'inevitabile opposto del bisogno di idealizzare. Poiché nella natura umana non esiste nulla di perfetto, le modalità arcaiche di idealizzazione sono destinate alla delusione. Esiste una relazione diretta e inevitabile: quanto più un oggetto è idealizzato, tanto più radicale sarà la svalutazione a cui andrà incontro quando le sue imperfezioni si manifesteranno.
Nella personalità narcisistica, una formulazione strutturale della psicologia narcisistica è proprio in termini di dipendenza dall'idealizzazione e dalla svalutazione primitive. Il bisogno costante di essere rassicurati sulla propria avvenenza, potere, fama e importanza (cioè la perfezione) deriva da queste difese. Le relazioni terapeutiche con pazienti narcisisti sono notoriamente soggette a improvvise rotture quando il paziente è deluso dal terapeuta. Queste persone possono trascorrere la vita passando da una relazione all'altra, in cicli ricorrenti di idealizzazione e delusione.
Che cos'è la proiezione e quali conseguenze può avere nelle sue forme sfavorevoli e quando si associa al carattere paranoide?
La proiezione è il processo per cui qualcosa di interno viene erroneamente considerato come proveniente dall'esterno. Si tratta di una capacità umana fondamentale, utilizzata per comprendere il mondo soggettivo degli altri.
Nelle sue forme sfavorevoli, la proiezione può causare pericolosi fraintendimenti e immensi danni interpersonali. Questo avviene quando gli aspetti proiettati distorcono gravemente l'oggetto su cui sono proiettati, o quando ciò che è proiettato consiste in parti ripudiate e altamente negative del Sé.
Quando una persona usa la proiezione come modalità principale per comprendere il mondo e affrontare la vita, si parla di personalità paranoide. In questi casi, la proiezione (e il diniego di ciò che viene proiettato) domina la psicologia dell'individuo.
Definisci l'introiezione e come si manifesta nelle sue forme benigne e patologiche, inclusa l'identificazione con l'aggressore e il suo ruolo nella depressione.
L'introiezione, opposta alla proiezione, si origina da una mancanza di confine psicologico tra il Sé e il mondo nell'infanzia. È un processo mediante il quale le rappresentazioni degli oggetti significativi vengono incorporate e diventano parte dell'identità di una persona.
Nelle sue forme benigne, l'introiezione è parte del normale sviluppo e permette di costruire il senso di identità attraverso l'incorporazione delle relazioni.
Nelle sue forme problematiche, l'introiezione è un processo molto distruttivo. Esempi noti includono:
L'identificazione con l'aggressore: in condizioni di paura e maltrattamento, le persone tentano di padroneggiare lo spavento e la sofferenza assumendo le qualità del proprio aggressore, in un tentativo di passare dalla posizione di vittima indifesa a quella di aggressore potente. Questo è particolarmente evidente in disposizioni caratteriali sadiche ed esplosive.
Ruolo nella depressione: l'introiezione è implicata in alcune forme di depressione. Dopo la perdita di una persona cara (per morte, separazione o rifiuto), si può sentire una parte del proprio Sé come morta. Nel tentativo di recuperare un senso di controllo invece di accettare l'impotenza, si può iniziare a interrogarsi sui propri errori o peccati che hanno causato l'allontanamento. I bambini cresciuti in contesti familiari avversi possono preferire credere che ci sia qualcosa di sbagliato in loro (Fairbairn la definì "difesa morale") piuttosto che ammettere di dipendere da figure di accudimento trascuranti o abusanti. Chi ricorre regolarmente all'introiezione per ridurre l'ansia e assicurare la continuità del Sé, mantenendo legami psicologici con oggetti non gratificanti del passato, sarà ragionevolmente considerato con una tipologia caratterologicamente depressiva. Il tipo di introiezione che caratterizza i depressivi è l'interiorizzazione inconscia delle qualità più odiose di un vecchio oggetto d'amore, percependo i suoi attributi negativi come parte del Sé.
Che cos'è l'identificazione proiettiva e in che modo si manifesta nel contesto terapeutico attraverso un processo trifasico?
L'identificazione proiettiva è un processo difensivo complesso in cui il paziente non si limita a vedere il terapeuta in un'ottica distorta, determinata dalle proprie passate relazioni oggettuali, ma esercita anche pressioni intese a fargli sperimentare se stesso come vuole la fantasia inconscia del paziente. È una fusione di proiezione e introiezione, che avviene a causa di un'analoga confusione tra interno ed esterno.
Nel contesto terapeutico, si manifesta attraverso un processo inconscio trifasico:
In una prima fase, il paziente proietta nello psicoterapeuta una rappresentazione di sé o dell'oggetto.
Successivamente, lo psicoterapeuta si identifica inconsciamente con quanto viene proiettato e inizia a sentirsi o comportarsi sintonizzandosi con la rappresentazione del Sé o dell'oggetto, rispondendo con una controidentificazione proiettiva.
Nell'ultima fase, il materiale proiettato viene "processato psicologicamente" dallo psicoterapeuta e restituito al paziente, che lo reintroietta.
La modificazione del materiale proiettato in questo processo contribuisce a sua volta al cambiamento della corrispondente rappresentazione del Sé e dell'oggetto, e del relativo modello di relazione. È un'operazione potente e complessa, associata ai livelli borderline della personalità paranoide.
Confronta proiezione egodistonica e egosintonica e descrivi il controtransfert associato all'identificazione proiettiva.
La proiezione egodistonica e la proiezione egosintonica differiscono nel modo in cui il paziente percepisce il materiale proiettato:
Nella proiezione egodistonica, il paziente dimostra una capacità autoriflessiva, riconoscendo che la sua fantasia non coincide necessariamente con la realtà. La proiezione è sentita come "estranea" all'Io. Ad esempio, un paziente può dire: "So di non avere alcuna ragione di credere che lei sia critico verso di me, ma non posso evitare di pensare che lo sia".
Nella proiezione egosintonica, il paziente percepisce ciò che viene proiettato come un ritratto fedele dello stato mentale del terapeuta. Crede nella realtà della sua attribuzione in modo assoluto, tanto da poter lanciare un contrattacco preventivo. In questo caso, si osserva una fusione delle dimensioni affettiva, cognitiva e comportamentale dell'esperienza, tipica dei processi primitivi. Ad esempio, un paziente può affermare: "Tutti voi strizzacervelli adorate starvene lì seduti a giudicare le persone, ma di quello che pensate non me ne frega niente".
Il controtransfert associato all'identificazione proiettiva è generalmente negativo e intenso quando la proiezione è egosintonica. Quando il terapeuta è "catturato" dalla certezza del paziente riguardo ai suoi sentimenti e al tentativo incessante di indurli, è necessaria lucidità e disciplina ferrea per sostenere lo sbarramento emotivo. Il terapeuta può sentirsi emotivamente sollecitato a sperimentare i sentimenti che il paziente sta proiettando e di cui cerca di liberarsi. C'è sempre una parte di verità nella convinzione del paziente, poiché ogni essere umano possiede l'intera gamma di emozioni, difese e atteggiamenti che possono essere proiettati. Questo processo, particolarmente potente e complesso, è associato ai livelli borderline della personalità paranoide.
Che cos'è la scissione dell'Io e come opera per ridurre l'angoscia, sia nello sviluppo infantile che nella vita adulta?
La scissione dell'Io, o semplicemente "scissione", è un processo inconscio che separa attivamente gli uni dagli altri i sentimenti contraddittori, le rappresentazioni di sé e degli oggetti. Questo meccanismo dà origine a un'idealizzazione e svalutazione estrema dell'oggetto e, di conseguenza, del Sé.
La sua funzione principale è evitare l'angoscia e la sofferenza che deriverebbero dallo sperimentare affetti contrastanti (ad esempio, amore e odio) nei confronti di uno stesso oggetto.
Nello sviluppo infantile, si ritiene che la scissione derivi da un periodo preverbale, prima che il bambino sia in grado di percepire che le figure di accudimento hanno sia qualità "buone" che "cattive", e che queste si associano a esperienze positive e negative con loro. I bambini di circa due anni spesso organizzano le percezioni assegnando valenze buone e cattive a ciò che appartiene al loro mondo, poiché prima di raggiungere la costanza dell'oggetto non possono provare ambivalenza (che implica sentimenti opposti verso un oggetto costante).
Nella vita adulta, la scissione rimane una modalità per spiegare esperienze complesse, ambigue o minacciose. Ad esempio, un gruppo insoddisfatto può creare la percezione di un "nemico esterno malvagio" contro cui i "buoni" all'interno del gruppo devono combattere. La scissione può essere molto efficace nel ridurre l'angoscia e mantenere l'autostima difensivamente, ma implica sempre una distorsione della realtà.
Come si manifesta la scissione in un contesto clinico e quali dinamiche crea nel personale terapeutico?
In un contesto clinico, la scissione è evidente quando un paziente esprime un atteggiamento non ambivalente e considera del tutto irrilevante l'atteggiamento opposto. Ad esempio, una paziente borderline può percepire il terapeuta come totalmente buono, mentre gli altri professionisti nello stesso ambito sono visti come burocrati stupidi, ostili e indifferenti. In alternativa, lo stesso terapeuta può diventare improvvisamente bersaglio di rabbia incontrollata, percepito come personificazione del male o dell'incompetenza, dopo essere stato considerato infallibile la settimana precedente. Di fronte a tali incoerenze nelle proprie attribuzioni, il cliente che usa la scissione non ritiene degno di considerazione il fatto che qualcuno che sembrava così buono sia diventato così cattivo.
Le dinamiche che la scissione crea nel personale terapeutico sono significative: i pazienti borderline non si limitano a scissioni interiori, ma creano (spesso tramite l'identificazione proiettiva) scissioni anche nel personale curante. Gli operatori coinvolti nella terapia di un paziente borderline possono ritrovarsi in animate discussioni, con alcuni che provano forte simpatia e desiderio di aiutare, e altri che provano forte antipatia e desiderio di rimproverare. Questi pazienti, che utilizzano la scissione come modalità ordinaria di organizzazione dell'esperienza, tendono a logorare le persone cui sono affidati.
Definisci la somatizzazione e spiega le sue origini nello sviluppo, la sua relazione con l'alessitimia e la sua incidenza nelle patologie del carattere gravi.
La somatizzazione è un processo che comporta il trasferimento di sentimenti dolorosi a parti del corpo.
Le sue origini nello sviluppo sono precoci: quando i bambini piccoli non vengono guidati dalle figure di accudimento a esprimere i propri sentimenti a parole, tendono a farlo attraverso stati di esaurimento fisico (malattia) o attraverso l'azione. Le prime reazioni alle tensioni sono somatiche, e molte di queste risposte (come "lotta, fuga o congelamento") rimangono alla base del modo in cui reagiamo allo stress, attivando vari sistemi corporei. Se non si riceve aiuto adeguato in questo processo di transizione verso un linguaggio emotivo, le risposte fisiche automatiche possono rimanere l'unico modo per esprimere stati di attivazione emotiva.
La relazione con l'alessitimia è stretta: gli analisti hanno descritto i pazienti psicosomatici come individui caratterizzati da alessitimia, ovvero la mancanza di parole per esprimere gli stati emotivi.
La sua incidenza nelle patologie del carattere gravi è notevole: attaccamenti insicuri ed esperienze infantili traumatiche correlano con la somatizzazione. Studi hanno mostrato che il disturbo di somatizzazione si presenta spesso in comorbilità con i principali disturbi di personalità, suggerendo che è comune nelle patologie del carattere più gravi. Le persone che rispondono frequentemente e specificamente allo stress con la malattia possono essere inquadrate come personalità somatizzanti.
Che cos'è l'acting out (o enactment difensivo) e in che modo consente alla persona di trasformare la passività in attività?
L'acting out (o enactment difensivo) è un processo difensivo in cui, per fronteggiare sentimenti soverchianti o spaventosi, la persona inconsciamente ansiosa converte la passività in attività. Questo meccanismo trasforma un senso di impotenza e vulnerabilità in un'esperienza di azione e potere, indipendentemente dalla negatività del dramma che viene rappresentato.
Il termine si riferisce propriamente a ogni comportamento che esprime atteggiamenti transferali di cui il paziente non si sente ancora sicuro di poter parlare o che non riesce ad articolare emotivamente nel contesto terapeutico. Può anche indicare il processo attraverso cui un certo atteggiamento, all'interno o all'esterno del trattamento, viene scaricato nell'azione con lo scopo inconscio di dominare affetti sconvolgenti o non verbalizzabili.
Nonostante alcune di queste operazioni (come esibizionismo, voyeurismo, sadismo, masochismo) possano avere espressioni normali e non difensive, quando sono applicate ad atti specifici considerati difensivi, tendono a presumere una paura sottostante o altri sentimenti negativi ripudiati o non formulati. Ad esempio, le persone con organizzazione isterica spesso mettono in atto scenari sessuali inconsci, i dipendenti mettono in atto il loro rapporto con la sostanza, i compulsivi agiscono le proprie compulsioni e gli psicopatici mettono in scena un complesso modello di manipolazione.
Descrivi la sessualizzazione (o istintualizzazione) come difesa e in che modo può trasformare esperienze negative in eccitazione, anche in contesti traumatici.
La sessualizzazione (o istintualizzazione) è l'attribuzione di un significato sessuale a un oggetto o a un comportamento, al fine di rendere stimolante ed eccitante un'esperienza negativa o di allontanare le ansie associate all'oggetto o alla persona in questione. Prende generalmente la forma di un'azione e può essere considerata una sottocategoria dell'acting out, sebbene possa manifestarsi anche senza azione diretta.
L'attività e le fantasie sessuali possono essere usate difensivamente per padroneggiare l'ansia, recuperare l'autostima, controbattere la vergogna o sottrarsi a una sensazione di morte interiore.
In contesti traumatici, la sessualizzazione può trasformare esperienze negative in eccitazione. Le persone possono sessualizzare qualunque esperienza con l'intento inconscio di convertire il terrore, la sofferenza o qualsiasi altro vissuto soverchiante in eccitazione. L'eccitazione sessuale è un mezzo efficace per sentirsi vivi. La paura infantile di morire, a causa di abbandono, violenza o altre calamità, può essere psicologicamente padroneggiata trasformando una situazione traumatica in un'opportunità di affermazione vitale. Studi su individui con inclinazioni sessuali insolite, come il masochismo sessuale, hanno rivelato spesso esperienze infantili che hanno sopraffatto la capacità di elaborazione del bambino e sono state successivamente trasformate in attiva sessualizzazione del trauma. Ad esempio, lo stupro può essere visto come la sessualizzazione della violenza.
Ci sono anche differenze di genere: le donne tendono a sessualizzare la dipendenza, mentre gli uomini sessualizzano l'aggressività. Questo può accadere quando una relativa mancanza di potere ufficiale viene compensata da un potere erotico. La sessualizzazione non è intrinsecamente problematica o distruttiva; la sua valutazione dipende dal contesto e dalle conseguenze del suo uso nell'età adulta.
Che cos'è la dissociazione estrema e quali sono i suoi vantaggi e svantaggi come reazione a un trauma?
La dissociazione estrema è un processo che si sviluppa per fronteggiare esperienze improvvise e spaventose che, a causa della loro intensità, non possono essere immagazzinate attraverso i canali usuali. Questo meccanismo di difesa comporta la formazione di una spaccatura verticale tra diversi stati del Sé non integrati e sacche mnestiche inconsce, i cui contenuti rimangono inelaborabili e indicibili, ma attivi nell'influenzare percezioni, stati affettivi e comportamento. È una reazione "normale" a un trauma, e chiunque può dissociarsi di fronte a una catastrofe che supera le proprie capacità di elaborazione, specialmente se implica dolore o terrore intollerabile. I bambini che subiscono abusi ripetuti possono imparare a dissociarsi come reazione abituale allo stress, portando a un disturbo dissociativo cronico nell'adulto.
I vantaggi della dissociazione in condizioni insopportabili sono evidenti: permette di distaccarsi totalmente dal dolore, dal terrore e dall'idea di una morte imminente.
I principali svantaggi sono:
La sua tendenza a operare automaticamente anche in condizioni in cui la sopravvivenza non è realmente a rischio, e quando sarebbero possibili adattamenti più consoni.
Le persone traumatizzate possono confondere situazioni di normale tensione con quelle di pericolo di vita, diventando immediatamente amnestiche o "totalmente diverse", con grande confusione per sé e per gli altri.
Un alto prezzo sul piano interpersonale: gli osservatori, a meno che non abbiano una storia traumatica, raramente sospettano una dissociazione e tendono a concludere che la persona sia di cattivo umore, instabile o bugiard
Definisci la rimozione e discuti la sua natura adattiva nello sviluppo normale, evidenziando quando diventa problematica.
La rimozione consiste in un dimenticare o ignorare motivato. Questo processo si applica a un'esperienza nella sua globalità, all'affetto ad essa connesso, o alle fantasie e desideri associati. Nel contesto dei normali processi evolutivi, la rimozione ha una natura fondamentalmente adattiva, permettendo al bambino di allontanarsi dagli oggetti d'amore infantili per cercare legami al di fuori della famiglia. Senza di essa, saremmo cronicamente sopraffatti dalla gamma completa dei nostri impulsi, sentimenti, ricordi, immagini e conflitti.
Tuttavia, la rimozione diventa problematica quando:
Qual è la regressione come meccanismo di difesa e in quali circostanze può essere considerata tale, differenziandola da comportamenti consapevoli?
La regressione è un meccanismo di difesa che implica un ritorno involontario a modalità di funzionamento che appartengono a uno stadio precedente dello sviluppo. Nello sviluppo sociale ed emotivo esiste una naturale fluttuazione nella crescita personale, che diminuisce con l'età ma non scompare mai completamente, e la direzione complessiva del cambiamento è comunque in avanti.
Affinché sia qualificabile come meccanismo di difesa, il processo di regressione deve essere inconscio. Non si parla di regressione quando una persona, consapevole di un bisogno di conforto, chiede deliberatamente di essere rassicurata o cerca consciamente mezzi per scaricare impulsi primordiali (come nelle competizioni sportive).
Al contrario, è regressione nel senso psicoanalitico quando, ad esempio, una donna scivola inavvertitamente in modalità di rapporto infantili dopo aver realizzato un'aspirazione personale. La somatizzazione può essere vista come una forma di regressione solo se l'individuo aveva precedentemente acquisito la capacità di esprimere i sentimenti a parole e poi "scivola indietro" in stati preverbali e somatizzanti. Alcune persone ipocondriache utilizzano la regressione al ruolo di malato come mezzo primario per affrontare i problemi della vita. Quando la regressione costituisce la strategia centrale di un individuo, si può parlare di personalità infantile.
Che cos'è l'isolamento dell'affetto e come si manifesta in contesti sia adattivi (es. chirurghi) che patologici?
L'isolamento dell'affetto è un meccanismo di difesa che consiste nel separare l'aspetto affettivo di un'esperienza o di un'idea dalla sua dimensione cognitiva. Le persone gestiscono l'ansia e altri stati mentali dolorosi isolando il sentimento dalla conoscenza.
Questo meccanismo può avere un grande valore adattivo:
• I chirurghi, ad esempio, non potrebbero operare efficacemente se fossero costantemente sintonizzati sulla sofferenza fisica dei pazienti o sulle proprie reazioni di disagio.
• I sopravvissuti all'Olocausto hanno talvolta descritto atrocità con una freddezza che evidenzia l'azione di questa difesa.
L'isolamento diventa patologico quando è una difesa centrale, spesso a causa di uno stile educativo o di un temperamento specifico. Si manifesta in persone che affermano di non avere alcuna risposta emotiva in situazioni che generalmente suscitano sentimenti intensi, e che idealizzano l'espressione puramente razionale. Nella tradizione della psicologia dell'Io, l'isolamento è considerato la più primitiva delle "difese intellettuali" e l'unità operativa di base in meccanismi come l'intellettualizzazione, la razionalizzazione e la moralizzazione. Quando l'isolamento è la difesa primaria e la vita è orientata alla sopravvalutazione del pensiero e alla sottovalutazione del sentimento, si parla di personalità ossessiva.
Confronta l'isolamento e l'intellettualizzazione, spiegando come quest'ultima sia una versione di ordine superiore della prima.
L'intellettualizzazione è una forma di isolamento di ordine superiore, un rifugio mentale nell'astrazione o nella generalizzazione, che teorizza le esperienze emotive e sostituisce il pensiero all'esperienza per evitare il contatto con le emozioni.
La differenza fondamentale sta nel modo in cui l'affetto viene gestito:
• La persona che usa l'isolamento tende a riferire di non provare sentimenti.
• La persona che intellettualizza parla dei sentimenti, ma lo fa in una maniera che l'ascoltatore percepisce come anaffettiva o distaccata. Un esempio è il commento "Bene, naturalmente la cosa mi fa un po’ rabbia", pronunciato con tono casuale e distaccato, che indica un'accettazione teorica della rabbia ma un'inibizione della sua esperienza concreta.
In un contesto terapeutico, i pazienti che intellettualizzano tendono a riassumere le loro esperienze sul lettino in un tono che assomiglia più a un "bollettino meteorologico sulla propria psiche" che a una vera rivelazione interiore. Questa difesa ha lo scopo di proteggere la persona da impulsi inconsci e desideri inaccettabili.
Definisci la razionalizzazione e descrivi esempi del suo funzionamento sia benigno che problematico.
La razionalizzazione è un meccanismo di difesa che interviene quando non riusciamo a ottenere qualcosa che desideriamo, portandoci a concludere retrospettivamente che non era poi così desiderabile, oppure quando accade qualcosa di spiacevole e decidiamo che non era poi così grave. Implica il trovare ragioni accettabili per una situazione o un comportamento.
Il suo funzionamento benigno si manifesta quando permette di affrontare una situazione difficile con il minimo danno, volgendola al meglio. Ad esempio, la credenza consolatoria che una persona che ci ha rifiutato in realtà ci desiderava ma non era pronta a un coinvolgimento, include il diniego del rifiuto e una razionalizzazione.
Tuttavia, la razionalizzazione può essere problematica come strategia difensiva perché "praticamente ogni cosa può essere, e di fatto è, razionalizzata". Le persone ammettono raramente di utilizzarla. Questa difesa è comunemente usata dalle persone ossessive.
Che cos'è la moralizzazione e in che modo può essere considerata una variante più avanzata della scissione?
La moralizzazione non è definita esplicitamente in una singola frase, ma viene descritta come una versione più evoluta della scissione. Si presume che la sua funzione sia quella di giustificare azioni, pensieri o sentimenti basandosi su principi morali, spesso rigidi. La comprensione dei fenomeni morali è complessa, poiché la coscienza è in parte il risultato di un Super-Io introiettato ed è legata al modo in cui una persona gestisce la scissione e la proiezione. Le persone ossessive usano questa difesa.
Spiega la compartimentalizzazione e come differisce dall'ipocrisia per un osservatore non psicologicamente orientato.
La compartimentalizzazione è un processo difensivo che permette a due condizioni in conflitto di coesistere nella psiche di un individuo senza creare confusione, sensi di colpa, vergogna o ansia a livello cosciente. A differenza dell'isolamento, che separa il livello cognitivo da quello emotivo, nella compartimentalizzazione la scissione avviene tra dimensioni cognitive incompatibili: l'individuo abbraccia idee, atteggiamenti o comportamenti contraddittori senza percepirne la discordanza.
Per un osservatore non orientato psicologicamente, la compartimentalizzazione è indistinguibile dall'ipocrisia. Esempi comuni includono persone che deplorano il pregiudizio ma si divertono con battute razziste, o individui che sono umanitari in pubblico ma ammettono la violenza in privato. Questa difesa si applica solo se le attività o le idee discrepanti sono entrambe accessibili alla coscienza. Se confrontata con la realtà del proprio comportamento, la persona che usa la compartimentalizzazione eliminerà le contraddizioni attraverso la razionalizzazione.
Definisci l'annullamento e fornisci un esempio comune del suo funzionamento inconscio.
L'annullamento è uno sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, solitamente il senso di colpa o la vergogna, attraverso un atteggiamento o un comportamento che magicamente lo cancelli. È considerato lo sviluppo naturale del controllo onnipotente.
Un esempio comune del suo funzionamento inconscio si riscontra nelle azioni compulsive: le persone compulsive annullano attraverso azioni che hanno un significato inconscio di espiazione e/o protezione magica. Per esempio, molti di coloro che devono compulsivamente terminare ogni portata di cibo lo fanno perché da bambini venivano colpevolizzati se rifiutavano il cibo, vista la fame nel mondo, e questo comportamento serve inconsciamente a "annullare un crimine" percepito. Quando l'annullamento è la difesa principale di un individuo, si parla di personalità compulsiva.
Che cos'è il volgersi contro il Sé e perché i bambini possono ricorrervi come strategia difensiva?
Il volgersi contro il Sé è un meccanismo di difesa che consiste nello spostare un affetto o un atteggiamento negativo da un oggetto esterno verso il Sé.
I bambini possono ricorrervi come strategia difensiva perché, non potendo scegliere l'ambiente in cui vivere, potrebbero pagare un prezzo molto alto offendendo un genitore suscettibile. Pertanto, volgere su se stessi ogni sentimento negativo può servire a evitare la realtà più disturbante che il loro benessere dipenda da un adulto inaffidabile. L'autocritica, per quanto spiacevole, è emotivamente preferibile al riconoscimento di una minaccia reale alla sopravvivenza in condizioni in cui non si ha il potere di cambiare le cose.
Negli adulti, questa tendenza persiste, con l'illusione che il processo conferisca un maggiore controllo sulle situazioni disturbanti. Può essere considerato una versione più matura dell'introiezione. L'uso automatico e compulsivo di questa difesa è comune nelle personalità depressive e in alcuni tipi di masochismo caratterologico.
Spiega il meccanismo dello spostamento, fornendo esempi di come pulsioni, emozioni o ansie possano essere reindirizzate.
Lo spostamento è il meccanismo per cui una pulsione, un'emozione, una preoccupazione o un comportamento viene diretto dal suo oggetto iniziale verso un altro, poiché la direzione originaria provoca ansia per qualche ragione.
Esempi di come pulsioni, emozioni o ansie possono essere reindirizzate includono:
• In coppie in cui un partner è infedele, l'altro può dirigere l'odio reattivo quasi esclusivamente sull'amante anziché sul compagno, proteggendosi dal rischio di ulteriori angosce.
• Nelle fobie, il terrore può essere spostato su un oggetto (es. ragni) che inconsciamente simboleggia una paura diversa (es. soffocamento materno). Se una persona evita i ponti non per un incidente passato (reazione post-traumatica), ma perché inconsciamente simboleggiano le transizioni della vita e la morte, si parla di fobia.
• Fenomeni sociali come il razzismo, il sessismo e l'attribuzione di responsabilità a minoranze con scarso potere di controbattere, così come la ricerca di un capro espiatorio, contengono un vasto elemento di spostamento.
• Il transfert in terapia include lo spostamento di sentimenti verso oggetti primari importanti e la proiezione di aspetti interni del Sé.
Lo spostamento può anche avere forme benigne, come la sublimazione, che trasforma l'energia aggressiva in attività creativa o riorienta impulsi erotici verso un partner adeguato.
Che cos'è la formazione reattiva e come si manifesta, evidenziando la sua funzione di negare l'ambivalenza?
La formazione reattiva consiste nel tenere lontano un desiderio o un impulso inaccettabile manifestando un tratto di carattere di tipo diametralmente opposto. In questo processo, uno dei due termini di una coppia di atteggiamenti ambivalenti (es. l'odio) viene reso inconscio e mantenuto tale attraverso la supervalutazione del suo opposto (es. l'amore), sebbene l'atteggiamento originario persista inconsciamente.
Si manifesta quando qualcosa dell'affetto ripudiato filtra nella difesa, rendendo percepibile a chi osserva un eccesso o una falsità nella disposizione emotiva cosciente. Un esempio è una bambina che, soppiantata da un fratellino, lo "ama da morire" stringendolo troppo forte o dondolandolo aggressivamente.
La funzione principale della formazione reattiva è negare l'ambivalenza, poiché è un assunto psicoanalitico fondamentale che nessuna disposizione emotiva sia assolutamente pura (es. possiamo odiare chi amiamo). Con questa difesa, la persona si convince di provare una sola polarità di una risposta emotiva complessa.
Ha un valore adattivo nel prevenire affetti negativi (es. la sorellina soppiantata prova solo affetti positivi) o nel guidare comportamenti costruttivi (es. ammirazione competitiva che porta all'emulazione anziché al rifiuto). Tuttavia, è la difesa privilegiata in psicopatologie in cui predominano sentimenti ostili e impulsi aggressivi temuti (es. paranoici che sentono solo odio, ossessivi che sentono solo rispetto per l'autorità).
Definisci il capovolgimento e in che modo consente di spostare le dimensioni del potere in un'interazione.
Il capovolgimento è una modalità per fronteggiare sentimenti minacciosi per il Sé, creando uno scenario in cui la propria posizione passa da soggetto a oggetto e viceversa.
Questo meccanismo consente di spostare le dimensioni del potere all'interno di un'interazione, ponendo l'individuo nel ruolo di chi prende l'iniziativa anziché di chi risponde. Questo fenomeno è anche chiamato "trasformazione della passività in attività".
Un esempio è quando una persona, percependo come vergognoso il desiderio di ricevere attenzioni, soddisfa vicariamente i propri bisogni di dipendenza occupandosi di un'altra persona e identificandosi inconsciamente con la sua gratificazione. I bambini che giocano con i pupazzi usano questo meccanismo.
Il capovolgimento opera costruttivamente se lo scenario ribaltato è favorevole, e distruttivamente se la situazione capovolta è negativa, come nei riti di passaggio violenti in cui l'esperienza persecutoria viene trasformata in un senso di potere.
Che cos'è l'identificazione in psicoanalisi e come si distingue tra identificazione difensiva e non difensiva?
In psicoanalisi, l'identificazione è un processo psichico mediante il quale un soggetto acquisisce una qualità, un tratto o una funzione che appartengono a un'altra persona, trasformando sé stesso, totalmente o parzialmente, sul modello di quest'ultima.
Molti casi di identificazione sono motivati dal bisogno di evitare ansia, dolore, vergogna o altri affetti dolorosi, o di ripristinare un senso di autostima e coesione del Sé minacciato. L'identificazione è un aspetto normale dello sviluppo psicologico e diventa problematica solo in determinate circostanze.
Freud distinse tra:
• Identificazione non difensiva ("anaclitica"): motivata dal desiderio di essere simili a una persona di cui si apprezzano le qualità (es. "Mamma è generosa e voglio essere come lei").
• Identificazione difensiva ("con l'aggressore"): una soluzione automatica e difensivamente motivata al problema di sentirsi minacciati dal potere di un'altra persona (es. "Ho paura che mamma mi punisca… se divento lei, il suo potere sarà dentro di me e non fuori").
L'identificazione è un processo intrinsecamente naturale, i cui effetti possono essere positivi o negativi a seconda dell'oggetto. È usata più frequentemente come difesa in situazioni di tensione emotiva, specialmente quelle che mettono in discussione un vecchio modo di essere, come lutti, perdite o confusione d'identità. In terapia, la propensione del paziente a identificarsi con il terapeuta è favorita per il suo potenziale riparativo.
Spiega la sublimazione come difesa e perché è considerata lo strumento più sano per risolvere le situazioni psicologiche.
La sublimazione è una difesa che permette di affrontare conflitti e stress incanalando sentimenti o impulsi maladattivi in comportamenti socialmente accettabili. Freud la definiva originariamente come l'espressione socialmente positiva di impulsi di origine biologica (es. un dentista che sublima il sadismo). Attraverso la sublimazione, le pulsioni o i conflitti vengono creativamente diretti verso attività utili.
È considerata lo strumento più sano per risolvere le situazioni psicologiche per due ragioni:
In che modo l'umorismo può essere considerato un sottotipo di sublimazione e quale ruolo svolge nella salute mentale?
L'umorismo può essere considerato un sottotipo della sublimazione, rappresentando il più elevato dei meccanismi di difesa con una funzione importante e positiva.
Svolge un ruolo cruciale nella salute mentale, permettendo di:
• Vedere il ridicolo in ciò che fa paura.
• Alleggerire una realtà dura.
• Trasformare il dolore in piacere.
La comparsa dell'umorismo in un paziente precedentemente angosciato è spesso la prima indicazione di un significativo cambiamento interno e un elemento centrale della salute mentale
.
muwah muwah muwah
Qual è la differenza tra "carattere" e "patologia del carattere" e quando si può parlare di un disturbo di personalità?
Ogni individuo possiede modi specifici di fare esperienza e di affrontare le situazioni, i quali costituiscono la sua personalità. Tutti abbiamo caratteristiche appartenenti a diversi stili di personalità, con tendenze dominanti che ci contraddistinguono. Si parla di patologia del carattere o disturbo di personalità solo quando gli schemi di funzionamento di un individuo sono così stereotipati da impedire lo sviluppo psicologico e l'adattamento. Ad esempio, un uomo con un carattere ossessivo "sano" organizza la propria vita intorno al pensiero, sostenendo l'autostima con atti creativi come lo studio o l'analisi logica, mentre un uomo patologicamente ossessivo rimugina improduttivamente senza raggiungere obiettivi, odiandosi per questa inattività. Similmente, una donna depressa "sana" trova soddisfazione nel prendersi cura degli altri, mentre una donna patologicamente depressa non riesce neanche a prendersi cura di sé.
In che modo i fattori situazionali possono influenzare la manifestazione dei tratti di personalità e come il terapeuta dovrebbe considerarli nella diagnosi?
I fattori situazionali possono influenzare la manifestazione dei tratti di personalità stimolando aspetti che in altre circostanze potrebbero rimanere latenti. Ad esempio, lutti possono far emergere il lato depressivo, la lotta per il controllo può generare ruminazioni eccessive, e lo sfruttamento sessuale può scatenare l'isteria. Nella diagnosi, il terapeuta deve valutare attentamente l'impatto reciproco dei fattori situazionali e caratteriologici. Alcuni individui, esposti a stress continui e dolorosi, possono apparire disturbati caratterialmente secondo criteri esterni, ma i loro schemi di pensiero e comportamento potrebbero essere una risposta adattiva alla situazione estrema piuttosto che una struttura interna. È fondamentale che i giudizi diagnostici si basino su un'informazione corretta e una riflessione accurata, evitando deduzioni automatiche e aprioristiche, soprattutto quando tratti sospettosi rendono difficile il contatto con il paziente.
Quali sono i limiti al cambiamento di personalità attraverso la terapia e cosa significa "espandere la capacità di influenzare la realtà"?
I limiti al cambiamento di personalità attraverso la terapia sono che essa può modificare sostanzialmente la personalità, ma non trasformarla. Le persone mantengono i propri "modelli operativi", ovvero un nucleo interiore di schemi comportamentali, conflitti, affetti e difese. Ad esempio, un terapeuta può aiutare un paziente depresso a esserlo in modo meno distruttivo e intransigente, ma non può trasformarlo in un carattere isterico o schizoide. "Espandere la capacità di influenzare la realtà" significa che, grazie alla comprensione di sé e alle nuove esperienze, gli individui possono incrementare notevolmente la loro capacità di agire sulla realtà e di sviluppare un'autostima più realistica. Questo implica un miglioramento nel modo di gestire le proprie dinamiche interne e le interazioni con il mondo, pur conservando la propria struttura di bas
Che cos'è la personalità psicopatica (antisociale) e in che misura è considerata trattabile clinicamente?
La personalità psicopatica (o antisociale) comprende un ampio spettro di individui, dai casi estremi caratterizzati da psicosi, disorganizzazione, sadismo e impulsività, fino a figure più affascinanti e socialmente integrate. Il continuum psicopatico si orienta fortemente verso il polo borderline-psicotico, riflettendo un fallimento basilare dell'attaccamento umano e l'uso di difese molto primitive. Il criterio diagnostico essenziale è che il principio organizzativo della persona sia il bisogno di esercitare potere sugli altri o di manipolarli consapevolmente.
Per quanto riguarda la trattabilità clinica, gli psicopatici estremi sono considerati non trattabili. Tuttavia, è possibile ottenere risultati terapeutici con molti individui che presentano tendenze antisociali. Una valutazione attenta è cruciale per stabilire se un singolo paziente psicopatico sia trattabile, poiché alcuni sono troppo problematici o determinati a sabotare il trattamento. I soggetti più anziani (di mezza età) possono diventare più adatti alla psicoterapia e trarne maggiore beneficio rispetto ai giovani con la stessa diagnosi, forse a causa di un calo ormonale o della perdita di forza fisica che riduce le difese onnipotenti e favorisce adattamenti più maturi.
Quali fattori biologici, come i livelli di serotonina e la reattività del sistema nervoso autonomo, sono associati alla personalità antisociale?
I fattori biologici associati alla personalità antisociale includono:
• Bassi livelli di serotonina.
• Una reattività significativamente più bassa del sistema nervoso autonomo.
• Anomalie nei circuiti cerebrali deputati ai processi affettivi e linguistici. Si ipotizza che gli individui estremamente antisociali possano aver acquisito il linguaggio emotivo come una "seconda lingua", usata per manipolare piuttosto che per esprimere stati interni.
• L'influenza dello sviluppo della corteccia orbitofrontale, considerata il centro morale del cervello, che può essere alterata da abusi, trascuratezza e maltrattamenti precoci. La predisposizione all'aggressività predatoria e reattiva potrebbe derivare da una stretta interazione tra geni ed esperienze evolutive.
Quali sono i processi difensivi primari degli psicopatici e come si manifestano la loro mancanza di coscienza morale?
Il processo difensivo primario nelle persone psicopatiche è il controllo onnipotente. Essi utilizzano anche l'identificazione proiettiva, la dissociazione e l'acting out. Il bisogno di esercitare potere prevale su ogni altro obiettivo.
La mancanza di coscienza morale dello psicopatico si manifesta non solo come un Super-Io difettoso, ma anche come l'assenza di attaccamenti primari verso altre persone. Per l'individuo fortemente antisociale, il valore degli altri è ridotto alla loro utilità nel permettergli di dimostrare il proprio potere. Gli psicopatici si vantano apertamente dei loro inganni se pensano di impressionare l'ascoltatore con il loro potere, e questo processo è del tutto consapevole, letteralmente "spudorato".
Confronta la manipolazione psicopatica con quella dei pazienti isterici e borderline.
La manipolazione psicopatica è un tentativo deliberato e consapevole di usare gli altri. Al contrario, la manipolazione dei pazienti isterici e borderline fa sentire gli altri usati, ma il paziente è relativamente inconsapevole di uno specifico intento manipolativo.