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Queste foto sono molto importanti, le troverete sempre negli articoli scientifici per tutta la vostra carriera. La fluorescenza ha due caratteristiche importantissime: 1) è una tecnica molto sensibile. Perché sensibile? Cosa cambia da un normale microscopio ottico? La sensibilità è più o meno la stessa della microscopia ottica, cambia il rumore di fondo. Perché ogni volta che vediamo un segnale non è mai puro, esso è sempre immerso nel rumore di fondo; in qualsiasi segnale elettrico, metallico, fisico c’è sempre la presenza del rumore di fondo. Quando l’antenna del vostro telefono capta un’onda c’è del rumore elettromagnetico. Con qualsiasi sensore (elettrocardiogrammi, per ecografia,…) tenete da conto che c’é sempre rumore di fondo. Tant’è che la sensibilità di un sistema non si esprime mai come solo segnale, si esprime come rapporto tra segnale e rumore (sigma fratto n, “noise”).Non ce ne faccio niente di un sistema sensibilissimo se poi il rumore di fondo è dello stesso ordine di grandezza, non tiro fuori nessuna informazione. Nella microscopia a fluorescenza invece, poiché ho un filtro che mi seleziona la lunghezza d’onda di eccitazione (quella con cui eccitate il fluorocromo),se illuminate i campioni a BIO02 lunghezza d’onda specifica, ad esempio 400 nm. il fluorocromo, sensibile a quella frequenza, fluoresce, quindi riceve la lunghezza d’onda a 400 nm e li restituisce a 500, la luce che viene su dal campione la catturiamo con un filtro ottico “passa banda” che mi fa passare solo 500 nm*. Tutto il resto della cellula in cui non c’è fluorocromo non mi da segnale, mi dà nero, quindi non c’è rumore. Questa è la cosa bella della fluorescenza: dove non c’è segnale non c’è neanche rumore, ecco il perché dello sfondo nero. La fluorescenza è una tecnica molto sensibile perché ho bassissimo rumore di fondo. 2) grazie alla chimica dei fluorocromi posso marcare componenti specifici della cellula, quindi posso localizzare questi componenti specifici, posso vedere come una certa struttura cresce, si sposta, si assembla, si compatta. Abbiamo fluorocromi per il DNA, RNA, ma più di tanto specifici non ce li abbiamo. Se io volessi localizzare una proteina specifica, ad esempio i filamenti di actina, non ho un fluorocromo che si lega. Però possiamo produrre anticorpi specifici contro una certa proteina, tipo anti actina, e grazie a tecniche chimiche riusciamo a legare a questo anticorpo un fluorocromo, quindi l’anticorpo che riconosce la proteina si porta dietro con se questa piccola particella fluorescente. In questo modo costruisco sonde specifiche per marcare proteine specifiche, anche contemporaneamente, con fluorocromi di lunghezze d’onda diverse e quindi colori diversi. Questa tecnica che comporta la marcatura degli anticorpi è chiamata immunofluorescenza. Le Telecamere: da questa microscopia emergono segnali di intensità molto piccola, quindi ad occhio nudo si vede poco niente. Per vedere queste immagini servono delle telecamere speciali molto sensibili. Anche le telecamere sono dei sensori e quindi hanno rumore di fondo elettrico. Per minimizzare questo rumore si usa raffreddarli. Se io avessi un sensore elettronico a temperatura ambiente avrei un rumore che non mi permetterebbe di vedere il segnale, allora questo sensore lo si raffredda con azoto liquido in maniera che il sensore lavora a -200 °C. Mentre le telecamere per il microscopio a fluorescenza necessitano delle celle di Peltier, che usano un sistema a stato solido: celle con due facce che se date corrente una faccia si scalda e l’altra si raffredda (fino a -30°C circa). La faccia fredda si mette nel sensore della telecamera e ho minimizzato il rumore di fondo. (Purtroppo le celle di Peltier hanno un rendimento del 9-10%, quindi il 90% dell’energia fornita si dispende in calore) *Nella lezione di genetica successiva (6/11/19), il prof. Piva ha ampliato alcuni concetti riguardanti il microscopio a fluorescenza: Un microscopio a fluorescenza ha una torretta un po’ più grande, per dare spazio a ; nel normale microscopio la luce viene dal basso e attraversa il campione, per questo il campione deve essere sottile per far passare la luce agli obiettivi. Il microscopio a fluorescenza ha invece l’illuminazione che viene da davanti e arriva fino a uno specchio che la fa scendere sul campione. Dopodiché il campione eventualmente fluorescente restituirà luce (a una diversa lunghezza d’onda) all’obiettivo stesso e arriverà direttamente all’oculare. BIO02 La fonte di luce è solitamente bianca, quindi contiene tutte le lunghezze d’onda, tutti i colori dello spettro. Però grazie a un filtro di eccitazione, io seleziono solo il colore che mi serve per far eccitare i fluorocromi, questo filtro si chiama “passa banda”. Dopo questo filtro la luce incontra lo specchio dicroico che devia la luce di quella specifica lunghezza d’onda e la fa scendere sul campione. Se il campione non fosse fluorescente, riemergerebbe la stessa luce con cui ho illuminato, per riflessione i 500 nm che ho inviato saranno deviati nuovamente dallo specchio e non arriverebbero all’oculare. Con la fluorescenza invece, il campione fa riemergere la luce a lunghezza d’onda differente (530/550) che riesce a superare lo specchio dicroico e ad arrivare all’oculare o alla telecamera. Chiaramente abbiamo diversi fluorocromi, ognuno con diversa lunghezza d’onda di eccitazione e di emissione. Per questo i microscopi sono dotati di un revolver, una cassettiera con molti filtri (un microscopio normalmente monta 4/5/6 di questi filtri) in maniera che, a seconda del fluorocromo che abbiamo, selezioniamo il filtro corretto. COLTURE CELLULARI Da molto tempo si è imparato a coltivare le cellule in laboratorio, quindi siamo riusciti a ricreare condizioni molto simili a quelle in cui si trova la cellula all’interno di un organismo, condizioni di temperatura, miscele di gas, … In laboratorio usiamo le cappe biologiche perché ogni operazione di manipolazione su queste cellule va fatta in ambiente sterile, perché questi contenitori possono essere attaccati dai batteri che si mangiano i nutrienti della cellula mandandola in putrefazione. Le cellule si tengono in contenitori circolari detti piastre di Petri oppure in fiasche sottili che vanno tenute orizzontali, tutte trasparenti per poter interagire con il microscopio. Le cellule possono avere due comportamenti: 1) COLTURE ADERENTI: cellule che si depositano sul fondo e si attaccano al contenitore. Caratteristica naturale di alcune linee cellulari. Ad esempio la maggior parte delle cellule tumorali si attacca al contenitore. 2) COLTURE IN SOSPENSIONE: che fluttuano e non hanno bisogno di attaccarsi al contenitore. BIO02 Una volta depositate queste cellule viene inserito un liquido detto terreno, di colore rossiccio che contiene tutti i nutrienti per far crescere le cellule. Simula l’ambiente del corpo dove si troverebbero le cellule. Queste cellule col passare delle ore metabolizzano i nutrienti del terreno ed espellono sostanze di rifiuto. Facendo questo il pH del terreno tende a cambiare, tende ad acidificare. Questo è un problema che entro un giorno o due è irrilevante, poiché il volume del terreno è molto più grande delle cellule, inoltre in questi terreni ci sono sistemi tampone che stabilizzano il pH. Ma nel terzo o quarto giorno i sistemi tampone cominciano a non reggere più, dunque bisogna cambiare il terreno altrimenti le cellule muoiono. Il terreno delle cellule è solitamente trasparente ma lo si rende rosso attraverso un colorante indicatore di pH per esempio il rosso fenolo. Esso serve come campanello d’allarme nel caso il terreno si acidifichi troppo, per questo il colore del rosso fenolo vira verso il giallo. tasso di replicazione Le cellule nei contenitori si dividono con un tasso che dipende dal tipo di cellule, ci sono cellule che si dividono poco (le cellule cardiache ogni 10 giorni, abbastanza lente), e ci sono altre che si dividono molto velocemente come le cellule tumorali del pancreas (ogni 2 giorni, anche meno). Da considerare anche il tasso che si chiama confluenza, che si riferisce allo spazio occupato dalle cellule all’interno del contenitore, ad esempio se le cellule si trovano nel 50% dell’area (chiaramente lo vediamo al microscopio) diciamo che queste cellule hanno raggiunto una confluenza del 50%, oppure del 100% se le cellule si sono divise così tante volte da aver occupato tutto lo spazio. Quando le cellule raggiungono una confluenza del 70/80% di solito vanno cambiate, le si staccano dal contenitore, se ne prende un 1% e questo 1% va rimesso a crescere in un nuovo contenitore. Staccare queste cellule è un processo che avviene solo attraverso enzimi come la tripsina. Il grado di confluenza è molto importante negli esperimenti, è una variabile che va molto controllata. Infatti le cellule percepiscono l’ambiente circostante e reagiscono di conseguenza, sono quindi in grado di sentire le cellule intorno a sé. Le cellule, sulla membrana plasmatica, hanno delle proteine-sensori capaci di percepire il contatto con altre cellule e quanto è fitto questo contatto. Sentono chi c’è intorno. Può capitare che con lo stesso trattamento, una cultura con confluenza al 40% reagisca in maniera totalmente differente da una con confluenza al 70%; è un problema perché in biologia bisogna affrontare la variabilità biologica, quando parleremo di genetica del cancro vedremo che le cellule del cancro sono eteroclonali, ovvero presenta una popolazione di cellule tutte diverse e in competizione tra loro per i nutrienti, se fossero cellule monoclonali e beccassimo i farmaci per farne fuori una le uccideremmo tutte. Purtroppo non è così. Magari così ne ammazzo il 70%, ma le ho solo selezionate, lasciando quel 30% libero dalla competizione di quel 70% che rubava nutrienti e ossigeno, ritrovandomi con cellule anche chemioresistenti. BIO02 Le cellule in coltura possono provenire da tessuti umani, tessuti di un paziente, disgregandole attraverso processi enzimatici e mettendole a crescere in laboratorio. Però le normali cellule, sane, sono un modello ottimo, ideale, ma in laboratorio non crescono bene. Esse si dividono lentamente e poco, dopo quattro o cinque volte vanno in senescenza e muoiono. Esse sono dette colture primarie (derivate direttamente dai nostri tessuti) e sono molto difficili da sfruttare in laboratorio. Queste cellule sono infatti programmate per vivere poco; quando una cellula del nostro fegato muore, interviene una cellula staminale per sostituirla, le cellule del fegato si riproducono per un lasso di tempo limitato, quindi è un fatto normale. Si tratta della senescenza, dovuta al consumo dei telomeri (estremità dei cromosomi). [il prof, così come molti testi, intende per colture primarie solamente quelle derivate da tessuti sani, quindi la slide proiettata in cui si confrontava la coltura primaria di tessuto sano con la “coltura primaria” di tessuto tumorale è da considerarsi errata in quest’aspetto] L’ideale per la coltura è, invece, la cellula tumorale, perché questa si divide all’infinito, velocemente e si adatta a tutte le condizioni. Perché queste a ogni divisione ripristinano completamente i telomeri, non invecchiano mai. Direte che è l’ideale se voglio fare esperimenti di oncologia, ma per testare un comune farmaco su cellule sane? Non abbiamo modelli così normali. Il 99% delle colture da laboratorio sono di cellule tumorali, sono un compromesso. Un altro problema delle cellule tumorali è che col tempo cambiano. Esse vanno poi spostate e cambiate di contenitore, ogni volta che viene cambiata la fiasca ci annotiamo l’evento, che chiamiamo “passaggio”. Esperimenti della durata di mesi trattano cellule che hanno alle spalle un elevato numero di passaggi. Più una cellula ha un elevato numero di passaggi più divisioni cellulari ha subito, questo però vuole anche dire che il suo genoma è più modificato rispetto alla cellula di partenza. Nelle cellule tumorali non sono molto attivi i meccanismi di controllo sul ciclo cellulare, per cui queste cellule tendono ad accumulare mutazioni con maggiore frequenza rispetto alle normali cellule. D’altronde questa di accumulare mutazioni è anche una strategia per diversificarsi, come per i batteri, per esplorare nuove combinazioni. Quindi queste cellule, tenendole per lungo tempo, si modificano in modo imprevedibile, anche lavorando con una popolazione di cellule monoclonali. Col tempo possono perciò comportarsi in modo diverso di fronte a uno stesso stimolo. I terreni possono essere comprati, sono completamente sterili, e sono composti di: • Sali, che donano ioni sodio, potassio, calcio, magnesio • Vitamine, sostanze che le cellule non possono sintetizzare, vengono per forza dall’esterno • Amminoacidi • Glucosio, che dona energia • Indicatore rosso del pH, rosso fenolo, che è però un problema per la microscopia a fluorescenza, dal momento che provoca anch’esso effetto fluorescente; possono essere comprati allora terreni trasparenti, più costosi, ma non fluorescenti. • Antibiotici, che garantiscono la sterilità contro spore e batteri, nonostante possano alterare la coltura (es. penicillina) • Siero di sangue bovino, circa il 10% del volume, che contiene elementi indispensabili alla BIO02 crescita delle cellule, ovvero fattori di crescita e ormoni, senza i quali le cellule sopravvivrebbero, ma non riuscirebbero a dividersi. Una cellula, a differenza dei batteri, si divide se c’è uno stimolo esterno. Ponendo le normali cellule del nostro corpo all'interno di una coltura, una volta cresciute e duplicate, entrano in contatto con altre cellule presenti nella piastra, riempiendola. Quando appunto si trovano in contatto tra di loro, smettono di duplicarsi, questo fenomeno si chiama inibizione da contatto ed è un fenomeno caratteristico delle cellule sane. Le cellule tumorali invece nonostante abbiano riempito tutto lo spazio a disposizione, e avendo quindi una confluenza pari al 100%, non si fermano e continuano a duplicarsi l'una sopra l'altra utilizzando anche lo spazio tridimensionale. Tumore infatti etimologicamente significa "gonfiore" proprio perché le cellule tumorali, terminato il loro spazio, crescono in altezza creando un rigonfiamento che potrebbe anche essere percepito al tatto. C'è anche un'altra caratteristica molto importante delle cellule tumorali, esse possono duplicarsi anche indipendentemente dal fatto che esse siano ancorate sul fondo o meno. Invece la maggior parte delle cellule crescono solamente se si trovano attaccate a un qualche strato, se queste cellule sane le metto in sospensione, inserendo nella coltura una sostanza chiamata agar che le tiene stazzate dal terreno, queste sopravvivono anche per giorni e settimane ma non si dividono più; le cellule tumorali invece si duplicano anche in sospensione, infatti mettendo una cellula tumorale in sospensione dopo settimane troviamo uno sferoide formato da tante cellule tumorali che si sono duplicate. In laboratorio solitamente vengono coltivate cellule per studiare come essere rispondano a determinati stimoli, quindi dopo aver preparato la coltura nella fiaschetta si inserisce una certa sostanza e si aspetta 12/24 ore. Successivamente si isola qualche cellula e la si analizza studiando quali proteine o geni vengono espressi o meno. Con le culture cellulari si possono fare dei saggi che ci fanno capire come le cellule abbiano acquisito un potenziale maligno, le cellule tumorali infatti possono essere più o meno maligne e metastatiche e questi comportamenti possiamo saggiarli con varie tecniche. saggi per capire come reagiscono a certi stimoli, più in generale Saggio della riparazione della ferita BIO02 Faccio crescere delle cellule tumorali nella piastra, aspettando che raggiungano una confluenza di circa il 50/60%, una volta cresciute traccio un solco nel mezzo della piastra eliminando in quell'area tutte le cellule presenti. Successivamente osservo ogni 6/8 ore cosa succede al solco, immaginato come fosse una ferita provocata alla coltura. Le cellule tumorali normalmente migrano, e noi dobbiamo misurare la loro velocità di migrazione, velocità che ci indica ad esempio con quale velocità queste metastatizzino in un paziente. Quindi il saggio prosegue effettuando varie foto con intervalli di tempo contante, per verificare come le cellule tumorali migrino all'interno del solco per riempire lo spazio vuoto. Nel primo esperimento osserviamo che dopo 16 h le cellule hanno riempito il solco. Nel secondo esperimento osserviamo che le cellule non ce l'hanno fatta poiché sono più lente. Nel terzo esperimento osserviamo che le cellule hanno riempito il solco. Questo saggio mi permette di capire se un determinato stimolo aumenta o meno l'aggressività delle cellule tumorali. Più velocemente le cellule riempiono il solco, più lo stimolo sarà meno conveniente in quanto rende le cellule più aggressive, più propense a metastatizzare, se invece si trova uno stimolo che rallenta la migrazione delle cellule allora esso potrebbe avere un riscontro positivo nella ricerca e andrà studiato e approfondito. Saggio dell'agar morbido (soft agar) Questo saggio, che sfrutta la proprietà delle cellule tumorali di dividersi anche se sono in sospensione, serve per studiare se un determinato trattamento è in grado di trasformare una cellula sana in una tumorale (in questo caso si dice che il trattamento è trasformante e carcinogenico). Prendo quindi una coltura di cellule normali, le tratto con un certo stimolo e aspetto 5 / 10 giorni. Dopo questo trattamento metto in sospensione queste cellule nel soft agar (ha la consistenza di una gelatina) e aspetto 3 settimane, successivamente le osservo al microscopio e vedo se abbiano formato o meno sferoidi. Se il trattamento non è trasformante vedo tutte cellule singole, se invece lo è vedrò questi sferoidi [come scritto sopra gli sferoidi sono le “colonie” cellulari formatesi per la divisione delle cellule tumorali]. (Certi trattamenti possono avere un tasso di trasformazione dell’ 1% o del 10%, sono tassi abbastanza bassi ma comunque preoccupanti). Infine vanno studiati i modi in cui quel determinato stimolo possa aver indotto tale trasformazione. Saggio dell'invasione BIO02 Immagina un piccolo cestino forato immerso in un liquido nutritivo. Sopra il cestino mettiamo delle cellule tumorali. Per fare questo saggio si usa una vaschetta nella quale si inserisce terreno di coltura per far crescere le cellule, sopra questa vaschetta si pone una struttura, una sorta di retino, ovvero un cestino di plastica (chiamato transwell) con tanti piccoli forellini che di solito hanno un diametro da 1 µm a 3 µm. Mettiamo a bagno il cestino cosi che il liquido costituente il terreno emerga e inseriamo le cellule tumorali sopra il cestino. Esse dopo essere scese e attaccate al transwell tendono a percepire il forellino assottigliandosi e diventando fusiformi per infilarcisi dentro. La cellula è circa 20 µm, molto più grande del forellino, quindi queste non possono cadere sotto, ma una certa percentuale tende ad affusolarsi e oltrepassare il forellino. La tendenza delle cellule tumorali a fare ciò riflette la loro propensione a infiltrarsi in un tessuto ed è quindi indicativa del loro potenziale metastatico. Si fanno quindi due esperimenti, uno di controllo denominato wild type a condizioni normali, e uno dopo aver trattato le cellule con un determinato stimolo: dopo aver contato le cellule che hanno oltrepassato il cestino prima e dopo lo stimolo, si verifica se esso aumenti o diminuisca la propensione delle cellule a fare metastasi. Metastasi: Capacità delle cellule tumorali di migrare dalla sede del tumore primario ad altre sedi; non tutte le cellule tumorali hanno questa caratteristica, ma esistono alcuni tipi che iniziano questo processo sin dalla nascita (ad esempio il tumore del pancreas è appunto metastatico all'esordio) alcune cellule metastatizzano solo se sottoposte a determinati stimoli. Saggio dell'invasione (variante) Dopo aver messo il cestino nel contenitore, inseriamo prima delle cellule un gel costituito dalla stessa sostanza della matrice extracellulare che troviamo nei tessuti del nostro corpo, appena il gel si è solidificato poniamo sopra a quest'ultimo le nostre cellule tumorali, vediamo ora se queste cellule tumorali siano in grado di produrre enzimi proteolitici, cioè sostanze corrosive che scavano la matrice penetrandovi all'interno per poi inserirsi nei fori del cestino. Con questo saggio modificato si riesce a contare le cellule che hanno la proprietà di penetrare la matrice extracellulare e che hanno quindi potenziale metastatico ancora più forte. Esperimenti di co-coltura Grazie ai transwell possiamo svolgere esperimenti che coinvolgono due tipi cellulari, uno sarà nel fondo della piastra e l'altro sopra il transwell, questi due tipi sono fisicamente separati ma grazie ai fori possono scambiarsi sostanze chimiche. Questi esperimenti sono importanti per vedere come un tipo cellulare ne influenzi un altro, ad esempio le cellule che si trovano nel fondo della piastra potrebbero influenzare quelle che si trovano attaccate al cestino secernendo ormoni o altre sostanze chimiche. Quello che emerge da questo tipo di esperimento è molto utile perché riflette dei meccanismi che hanno luogo all'interno del BIO02 nostro corpo dove diverse specie cellulari sono in costante comunicazione (ad esempio nel tumore del pancreas ci sono cellule chiamate CAF, fibroblasti particolari che si cooperano con il tumore per sopravvivere). Esistono anche saggi per verificare che esistano diversi stimoli chimici chiamati angiogenetici, emanati dalle cellule tumorali le quali sono in grado di mandare dei segnali alle cellule circostanti per aumentare la vascolarizzazione, facendo si che vengano formati e indirizzati verso il tumore nuovi vasi che porti sangue e nutrienti affinché il tumore possa crescere ulteriormente. MEMBRANE BIOLOGICHE Le membrane biologiche servono a delimitare lo spazio esterno e interno della cellula, all' interno della cellula possiamo quindi avere un ambiento controllato, una sorta di laboratorio chimico dove chiudo e avvicino tra loro determinate sostanze chimiche. La membrana non va considerata come un qualcosa di ermetico che chiude definitivamente il citoplasma dall'ambiente esterno, in quanto la membrana deve permettere uno scambio controllato tra l'interno e l'esterno. Attraverso la membrana plasmatica vengono scambiati gas, ioni, acqua e altre sostanze, e all'interno di essa possiamo trovare delle proteine incastonate con varie funzioni diverse (ad esempio possono funzionare da recettori per i fattori di crescita). Le membrane sono molto importanti anche perché realizzano connessioni tra cellule attraverso canali che le mettono in contatto chimico facendo comunicare tra loro i propri elementi citoplasmatici (come ad esempio le cellule cardiache). Le membrane sono importanti anche dal punto di vista degli organelli interni del citoplasma, ad esempio la membrana interna dei mitocondri permette il passaggio di elettroni all'interno di essa. Nella membrana plasmatica inoltre troviamo proteine che etichettano il tipo di cellula nella quale si trovano (nelle cellule epiteliali troviamo la caderina E, nelle cellule mesenchimali la caderina N). La membrana plasmatica è costituita da molecole saldate da legami non covalenti quindi da legami che non sono forti, questo fa si che le proteine possano muoversi e traslare all'interno della membrana. I lipidi che costituiscono il doppio strato della membrana sono detti anfipatici, ovvero hanno estremità con caratteristiche chimico-fisiche diverse, due teste idrofile (solubili in acqua) rivolte verso l'esterno e l'interno della cellula e le code idrofobe verso l'interno della membrana. BIO02 Cellule diverse del nostro corpo hanno un diverso rapporto proteine/lipidi di membrana, vediamo ora un grafico che ci indica i vari rapporti a seconda del tipo di cellula. Supponiamo che la quantità di lipidi che troviamo in queste determinate cellule sia pari a 1, in certe cellule vediamo che abbiamo pochissime proteine rispetto ai lipidi, ad esempio nelle guaine mieliniche, che devono aumentare la velocità di trasmissione dell'impulso elettrico nel sistema nervoso (i lipidi sono un ottimo isolante elettrico e non permettono che esso si disperda nell'ambiente acquoso). Le membrane mitocondriali interne invece hanno molte più proteine che lipidi in quanto, essendo i mitocondri un laboratorio chimico che deve produrre energia, necessita di molti enzimi e proteine varie. Le membrane biologiche hanno 4 grandi classi di lipidi: • Fosfogliceridi (detti anche glicerofosfolipidi o anche glicerofosfatidi) Abbiamo una molecola di glicerolo alla quale sono legate due code idrofobe, hanno anche una testa polare con un gruppo fosfato (fornisce la carica netta negativa) • Sfingolipidi: Costituiti dalla molecola sfingosina a cui è legato un acido grasso e poi un gruppo R • Glicosil-diacil-gliceroli: Sono presenti nel foglietto esterno della membrana, caratterizzano ad esempio i gruppi sanguinei e possono legare ormoni, tossine, alcuni batteri o virus • Steroli: Sono anche essi importanti e servono a influenzare la fluidità delle membrane (colesterolo) Questi lipidi polari in soluzioni acquose tendono ad assemblarsi e formare doppi strati, ovvero formano spontaneamente strutture chiuse all'interno delle quali si potrebbe ad esempio inserire dei farmaci per farli facilmente entrare all'interno delle cellule.

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