Hegel

HEGEL

Ci concentreremo sulla Fenomenologia dello Spirito (1806-1807 a Jena) e i Lineamenti di filosofia del diritto. Le altre opere di Hegel sono manuali che dà a lezione ai suoi studenti.

RIFIUTO DEL CRITICISMO KANTIANO
Hegel è contro l’idea della ricerca del metodo instaurata da Cartesio.
Prima di conoscere l’oggetto Kant  dice che bisogna intendere cosa sia il conoscere, considerato come strumento attraverso cui ci si impossessa dell’assoluto (verità).
Una concezione strumentale del conoscere si rivela disastrosa per il conoscere stesso. Se il conoscere è strumento vi imprime una forma e la altera. Se si comporta passivamente come mezzo come un vetro attraversato dalla luce, riceviamo la cosa come essa è mediante il mezzo.

In entrambi i casi il conoscere produce il contrario del suo scopo, ci allontana dalla realtà. Costruendo il ponte voluto da Cartesio costruiamo un muro che ci allontana dalla cosa.

Kant è preoccupato di delimitare i limiti e le possibilità del conoscere, ma non ci si interroga mai sulle possibilità del criticismo. Non è neutro questo modo di pensare il conoscere: presuppone già una divisione fra l’Io e l’oggetto. L’idea kantiana presuppone che il conoscere e l’assoluto siano separati. Però essendo la conoscenza lo strumento per raggiungere la verità, è esterno al vero. In ciò Hegel critica la modernità.
Non ci si avvede che il non-io (Fichte) è posto dall’io e non può ricadere al di fuori dell’orizzonte del pensare.

IL RAZIONALE È REALE, IL REALE È RAZIONALE (Lineamenti di filosofia del diritto)
Kant nella Critica della ragion pratica delinea dei dover essere. Il compito della filosofia non è delineare un dover essere, come le cose dovrebbero essere, ma comprendere come le cose sono, comprendere ciò che è reale.
Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale.

Ma significa che non c’è verità, realtà, che esuli dalle strutture dell’essere. Hegel sta dicendo che ciò che è è davvero solo in quanto è comprensibile. Viceversa, la razionalità si esprime attuandosi nelle orme storiche della realtà.

Wirklichkeit (verkliskait) significa sia reale che vero, che è in moto. Ciò è connesso al wirksam (verksam): effettivo.
Ciò che è effettivo, ossia veramente reale, non è ciò che si può “toccare con mano”, ma ciò che produce effetti, che riformula il mondo. Ciò che è razionale, in quanto reale, produce effetti attraverso espressioni particolari nel movimento dialettico.
Affinché una realtà sia vera, cioè effettiva, occorre che essa sia compresa, cioè giunga al momento riflessivo del concetto (il fatto che reale e razionale coincidano avviene solo alla fine, momento riflessivo perché è l’assoluto che scrive la propria biografia).

Queste affermazioni paradossali non devono lasciarci intendere che la ragione possa prescrivere alla realtà un dover-essere, o che la prima abbia un compito creativo nei confronti della seconda, quasi come se ogni pensato acquisisse esistenza per il semplice fatto di essere pensato.

Quel che importa allora è conoscere, nella parvenza di ciò ch’è temporale e transeunte, cioè molteplice, il vero e l’eterno che è presente. Fino ad Hegel l’universale viene contrapposto al particolare.

La filosofia in quanto pensiero del mondo appare soltanto dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. Il suo compito è comprenderla, riflessivo, cioè rintracciare il razionale che è nel reale. (nella scuola italiana si studia storia della filosofia perché Gentile era persuaso che nella storia si vedesse la realtà)

«Solo come scienza (scienza filosofica, cioè prospettiva della totalità), solo come sistema, il sapere è reale e può essere oggetto di esposizione». Con sistema si intende un sapere assoluto e ciò riflette la piena autoconsapevolezza che l’assoluto ha di sé.

Text Box: Fenomenologia: studio del fenomeno, di come lo spirito appare. Nel lessico idealistico, coscienza indica in termini più in generali il soggetto.

IL CAMMINO DEL NEGATIVO (Fenomenologia dello spirito)
Hegel ha pretesa di strutturare un sistema, universale. Questo carattere è implicato nell’idea che razionalità e realtà coincidono.
Il cammino del vero procede per negazioni, per contraddizioni. Non è un sommarsi di mattoncini, ma il nuovo emerge nello sgretolarsi del vecchio.
Il vecchio mondo, caratterizzato dal lento sgretolarsi, viene interrotto da quel sorgere come un lampo del nuovo mondo.
Questo cammino può essere visto come la via del dubbio che non è il dubbio inteso come colpo di assestamento, ma invece è uno sguardo consapevole nella non verità del sapere apparente.

Questo cammino è la storia dell’affermarsi della coscienza stessa verso la scienza. Ma il cammino stesso è scienza, allora la Fenomenologia è la scienza dell’esperienza della coscienza.

LA VERITÀ COME PROCESSO (Prefazione della Fenomenologia dello spirito)
Guardando le cose siamo dinanzi alle negazioni inconfutabili, la verità di un sistema filosofico si pone come esclusiva rispetto alle altre. Allora dobbiamo assumere la prospettiva della totalità, così comprendiamo che questi momenti non sono esclusivi (un nega l’altro), ma sono necessari alla vita del tutto, al dispiegarsi storico della verità.

La prospettiva che bisogna assumere non è quella kantiana, cioè l’idea dell’ideale da perseguire, ma piuttosto quella della filosofia, della nottola di Minerva.
Dobbiamo comprendere il vero come quella processualità in cui il razionale si dispiega, il processo che si articola attraverso le negazioni dei suoi momenti.

La via del dubbio è simile a quello dello scetticismo.
Lo scetticismo che dobbiamo mettere in atto non è quella che nullifica, ma è la negazione determinata, cioè quel tipo di negazione in cui gli opposti non si escludono del tutto, vengono escluse alcune, con ciò scaturisce una nuova forma. Ciò che di nuovo così si produce conserva in sé la traccia del contenuto negato da cui proviene.

Aufhebung: significa sia annullare che elevare. È il negare che però mantiene, ciò che abbiamo visto con il cammino del vero. (Hegel pensa ad atto e potenza di Aristotele)
La meta per non finire in un finalismo deve essere la prospettiva del soggetto.

La metà è la prospettiva a partire dalla quale il processo negativo emerge come tale. È il momento in cui il sapere trova sé stesso, ragione ed essere coincidono. Il sapere sa che il reale è razionale e il razionale è reale, il momento della libertà, cioè lo spirito si sa nell’altro non considerandosi estraneo.

(Introduzione della Fenomenologia dello Spirito)
Hegel parla dell’opera come “Scienza dell’esperienza della coscienza”, come cammino in cui lo spirito come coscienza, soggetto, fa esperienza della propria non separatezza dall’oggetto, comprende la non estraneità di quest’ultimo.

La pretesa della Fenomenologia la possiamo intuire attraverso l’esempio del boccio, del fiore e del frutto.
“Quel che dapprima appariva come l’oggetto si abbassa, agli occhi della coscienza, a un sapere di esso, e l’in sé diviene un essere per la coscienza del in sé”.
es. La coscienza si rende conto che l’oggetto non è l’in sé, ma è oggetto per la coscienza, fenomeno (questa è la svolta di Kant, solo un esempio). Questo costituisce il nuovo oggetto del sapere.

La Fenomenologia descrive un costante riformularsi dell’oggetto e del soggetto, determinandosi a vicenda, questi momenti sono poi posti difronte ad una dissoluzione. Sono momenti negativi della verità stessa.

Allora esistono due prospettive:
- per la coscienza: Non è che i singoli soggetti coinvolti siano consapevoli dei mutamenti delle riformulazioni, dei passaggi che vivono. Questo passaggio accade alle spalle della coscienza, che conosce le cose in un certo modo rapportandosi alle cose e agli altri in un certo modo, questa è l’esperienza della coscienza.
- per noi, che è la prospettiva del sapere assoluto, della nottola di Minerva. Per noi il passaggio da un’idea all’altra è il cammino della realtà che sia articola nei suoi momenti.

(Prefazione della Fenomenologia dello spirito)
Cogliere ed esprimere il vero non come sostanza, ma anzi propriamente come soggetto
.
Il vero non è né un oggetto, né un contenuto, ma è soggetto, l’attività del pensare.

Il tentativo hegeliano non è raggiungere il noumeno, la verità ultima in ogni campo; il punto è che il soggetto colga in ogni determinazione l’unità di razionale e reale, comprendere l’oggetto come non estraneo al soggetto.
Lui non tratta il vero come contenuto o nozione, il suo punto è il rapporto soggetto-oggetto.
Il risanarsi della scissione tra soggetto e oggetto è il processo negativo del vero e il risanamento avviene alla fine del processo dialettico.

IL VERO È INTERO
Il vero è l’intero, la totalità,
e ciò implica che la verità dell’idea non risiede nell’universale inteso come sé stesso.
Se rimaniamo a livello universale, abbiamo a che fare con qualcosa di totalmente astratto.
es. come è la sostanza se non nelle sue negazioni, cioè le sue determinazioni.
L’universale è astratto, indeterminato, vuoto, per inverarsi deve passare per il negativo, deve determinarsi in ciò che logicamente lo contraddice, cioè il particolare.

DIALETTICA HEGELIANA
La dialettica è quel movimento in cui l’universale si nega e si esprime in momenti per poi riconciliarsi con sé stesso.

1)     Abbiamo un momento iniziale che è l’universale, che Hegel chiama in-sé (definito successivamente dai critici tesi)
es. noi dell’essere noi possiamo predicare che l’essere è.
Dire l’identità di un’idea con sé stessa coincide con un’affermazione astratta, quindi l’universale così è astratto.

2)     Cosa permette di determinare l’universale? Il particolare.
Questo momento Hegel lo definisce per-sé (antitesi), il particolare nega l’universalità del dell’universale.
es. nel momento in cui c’è l’ente l’essere non è più universale perché c’è qualcosa che è che non è essere.

Essere ed ente si contrappongono.

3)     Il particolare viene compreso nella sua verità quando viene ricondotto all’universale.
Questo momento è il singolare, definito in-sé e per-sé (anche definita sintesi).

La sintesi è il momento in cui il particolare viene compreso nella sua verità, cioè nel suo rapporto con l’universale; dall’altra parte la ragione comprende che l’universale è tale se non nel particolare, nelle sue determinazioni.
Entauberung (entoiserung): determinazione.

Legato al termine Entfremdung: alienazione.
L’universale vive alienandosi, determinandosi nell’altro da sé e in questo giungere a pienezza, momento in cui il particolare viene ricondotto.

Hegel afferma che il concetto è il singolare, l’universale che assume su di sé il negativo.

L’intelletto per Hegel è quello che si ferma alle contrapposizioni. La logica dialettica è, al tempo stesso, la legge utile a comprendere la realtà e la legge dello sviluppo della realtà stessa: reale e razionale, infatti, vivono secondo la medesima dinamica, che è quella dello spirito.

La realtà nella pienezza della sua realizzazione viene chiamata Spirito che vive di un processo dinamico. Il sapere è assoluto quando non c’è più differenza fra il sapere e il suo contenuto, quando la razionalità si scopre reale, quando lo Spirito giunge alla libertà, essere sé presso l’altro.

La filosofia deve concepire i momenti come momenti dialettici della processualità, così si può fare sistema.

L’affermazione della verità come soggetto coincide con l’identificazione di assoluto e spirito, l’assoluto non è punto di partenza ma si dispiega per come è solo in quanto meta, la meta è sapersi come spirito, la meta e la scienza sono quella prospettiva.

Ma non c’è il rischio che l’alternativa fra fenomeno e noumeno si riproponga all’interno del pensiero? Da un certo punto è così; bisogna partire dalla fine, perché solo dalla prospettiva della totalità, dal sapere assoluto, dal sapersi dello spirito come assoluto, ogni momento emerge nella sua necessità per comprendere il cammino della Fenomenologia, lo spirito che è la razionalità comprende quel filo rosso della sua storia.
Ma se il momento conclusivo è il momento dell’Idealismo, in cui ci si rende conto che ogni alterità è il pensato di un pensare (unità tra realtà ed essere), ogni figura, ogni momento è un certo modo in cui questo pensare si è presentato storicamente. Ogni figura dello Spirito è persuasa di poter affermare la verità, solo che il cammino della

COS’È IL CONCETTO?
Il concetto è il momento in cui si esprime l’identità di ragione e realtà, razionale e reale.

Il concetto è il momento del processo in cui quest’ultimo si rivela a sé stesso quanto tale, il momento in cui la vita si rivolge a sé stessa stilando l’autobiografia.

COS’È L’IDEALISMO
L’idealismo è la persuasione motivata che ogni cosa è il pensato di un pensare. Non c’è nulla che ricada al di fuori dell’orizzonte del pensare, dell’Io.

Text Box: Hegel è aristotelico perché per Aristotele essere è sia sostanza, cioè reale, che categoria, cioè razionale.QUAL È IL RUOLO DELLA FILOSOFIA?
«Solo come scienza, solo come sistema, il sapere è reale e può essere oggetto di esposizione». La filosofia, nella sua forma compiuta, non può essere ridotta a una indagine sul metodo, che si estranea dal proprio contenuto.
La filosofia deve assumere il ruolo della Nottola di minerva, che riflette la piena consapevolezza che l’assoluto ha di sé. La filosofia ha luogo quando la realtà giunge a pienezza, completa il suo percorso di formazione

IMMEDIATO
In senso speculativo (cioè del momento singolare), con la prospettiva della totalità, l’immediatezza si traduce nella mediazione. Il mediato è identico all’immediato, poiché, nel processo dialettico, il risultato coincide con l’inizio. Tuttavia, ciò che distingue il mediato dall’immediato è precisamente il processo stesso della mediazione, il passaggio dal negativo.

FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO
La Fenomenologia ritrae quei momenti necessari, pur essendo già stati negati, che compongono la storia dello Spirito.
La tesi di Hegel è che ogni Coscienza è Auto-coscienza (nel senso che l’autocoscienza è la verità della coscienza); a sua volta, l’Autocoscienza si scopre come Ragione (nel senso che la Ragione è la verità dell’autocoscienza); infine, la Ragione si realizza pienamente come Spirito, che, tramite la Religione, nel Sapere assoluto raggiunge il suo vertice. Ognuna di queste tappe è costituita di differenti momenti o «figure»

 

COSCIENZA

Le prime tre figure della Fenomenologia solo quelle della coscienza, che è il termine che l’idealismo usa per indicare il soggetto dinanzi all’oggetto, soggetto conoscente.
Hegel parte da quelle idee secondo cui la realtà appare come qualcosa di dato alla coscienza, quindi opposto ad essa.

CERTEZZA SENSIBILE
La prima figura della coscienza è la certezza sensibile. Di cosa siamo certi, cosa possiamo affermare attraverso i sensi? Il particolare. Cosa possiamo affermare di questo particolare? QUESTO, QUI, ORA: il particolare ricevuto attraverso i sensi ci dice un questo, è qui, è ora. Questo è quanto affermabile senza ricorrere ai concetti, all’universale.
Il punto è che questo, qui e ora, che abbiamo distillato persuasi che lì potessimo trovare la migliore determinatezza, risultano indeterminati, universali. C’è una inversione dialettica, il particolare risulta nell’indeterminatezza, ci allontana da ciò che si prefigge di raggiungere.

PERCEZIONE
La seconda figura è quella della percezione che prova a conciliare la dimensione particolare affermando la necessità di un principio unitario (Aristotele). Qui parla del concetto aristotelico di sostanza come sostrato unitario che accoglie il divenire. Questo discorso è alle spalle di Aristotele perché la coscienza non si avvede di ciò, ma solo noi nella prospettiva del per noi.
La coscienza viene assalita da un dubbio
, la mia certezza che la cosa oggetto dinanzi a me, abbia una natura sua, non è che forse questo principio non dipende dalla cosa, ma da me che osservo, si pone la domanda: l’unità dell’oggetto è una caratteristica dell’oggetto o dipende da come lo conosco?

Assistiamo ad un’inversione dialettica dell’oggetto nel suo opposto poiché la coscienza si rende conto del suo contributo nel costituire l’oggetto così come esso le era apparso all’inizio.
Il primo ribaltamento è dell’oggetto da qualcosa di essenziale a qualcosa di costituito. Ma c’è anche un ribaltamento perché in queste due figure abbiamo assistito ad un ribaltamento dell’oggetto sul soggetto, inizialmente il soggetto ritiene l’oggetto indipendente, ma si rende conto che l’oggetto è tale solo dinanzi ad un soggetto.

TERZA FIGURA
La terza figura è quel momento in cui ci si rende conto che il ruolo decisivo è giocato dall’intelletto, la coscienza si persuade che la verità dell’oggetto stia nella dimensione intellegibile. Quindi l’oggetto avrebbe solo lo statuto di fenomeno. Mette qui Platone ma anche Galileo e la rivoluzione scientifica. L’ente è espressione di un universale e il fenomeno è il solo apparire di una legge universale, che afferma che il senso del particolare è nell’universale intellegibile.

In queste tre figure a mano a mano la coscienza sposta il suo sguardo dal particolare all’universale, dal sensibile all’intellegibile, è costretta dalla impenetrabilità del particolare a trovare il suo senso nel l’universale. Questo processo coincide allo spostare lo sguardo dall’altro al sé.  

La coscienza giunge a comprendere che l’oggetto dipende da qualcos’altro, ossia dall’intelletto, e dunque (in qualche modo) da se stessa (l’oggetto si risolve nel soggetto). In tal modo la coscienza diventa auto-coscienza (sapere di sé).

 

AUTOCOSCIENZA

L’indagine fenomenologica si sposta su cosa sia l’autocoscienza.

Come si costituisce l’autocoscienza? L’autocoscienza non è un dato di partenza, il soggetto si costituisce in relazioni di riconoscimento. LIo è il contenuto del rapporto, ed è latto stesso del rapportare.
Possiamo intuire una critica a quelli che sono i principi della filosofia moderna, che ha per partenza l’individuo. Ma se siamo già individui prima di entrare in relazione, l’altro diventa solo limite alla mia libertà.

Dall’altra parte Hegel è chiaro nel non voler perdere la categoria di individuo, ciò che con la modernità si era affermato, non vuole tornare alla polis greca, in cui non c’è la stessa di responsabilità.
Il suo scopo è la libertà, essere presso di sé nell’altro, ma ciò richiede che l’io e l’altro non coincidano.

L’autocoscienza è tale solo quando e in quanto riconosciuta da un'altra. Per la prima volta siamo dinanzi ad una figura dello Spirito in cui soggetto e oggetto coincidono.
Lo Spirito è l’Io che è Noi e Noi che è Io. Esser un Noi significa abitare la differenza, essere presso di sé nell’altro. Il Noi non è una simbiosi, invece mantiene l’universale nella sua determinatezza, conciliando particolare ed universale.
Lo Spirito emerge nella relazione di riconoscimento di due autocoscienze che sono per sé ma si riconoscono reciprocamente conoscenti.

Questo è uno standard esigente, perché non in ogni relazione emerge lo Spirito. Lo standard esigente non è solo la presenza di due autocoscienze che si riconoscono, ma si riconoscono come reciprocamente riconoscentisi.
Hegel ci offre il percorso fenomenico dello Spirito fino a che diventi autocoscienza.

PUNTO DI PARTENZA
Hegel sposta il punto di vista da cui guarda la coscienza. Il punto di partenza è la Begierde che significa desiderio nella sua dimensione famelica.
Il punto di partenza è il soggetto che non è pienamente autocoscienza, perché sono coscienti di sé ma non dell’altro. L’uomo inizialmente è Begierde, mosso da questa fame, mangia, divora e annulla. (contro l’idea di uomo moderno, uomo come essere buono) Questa è una condizione condannata a ripetersi, la fame va sempre avanti mossa da questo desiderio.  
Spinoza parlava di conatus come quell’originario sforzo vitale che contraddistingue il vivente.
Come si rompe la ciclicità della sua attività che nullifica? Quando incontra un'altra famelica che non si fa annullare, un altro soggetto.

Abbandoniamo la prospettiva della coscienza per un secondo, per noi si realizza un primo incontro, accade che l’io che sta mangiando vede un suo simile, ma così facendo proietto sull’altro la sua immagine. Io vedo me nell’altro e nell’altro me, ma facendo così non ho né l’altro, né me, essendo che mi descrivo nei termini dell’altro. Quindi deve realizzarsi una relazione che in primis è distinzione tra me e l’altro.

Tornando alla prospettiva della coscienza, questa relazione si realizza quando si negano affermandosi, avviene attraverso la lotta per il riconoscimento. Nella lotta emerge la differenza tra l’uomo e la bestia, perché l’uomo non sta lottando per il territorio o per la propria sopravvivenza, ma lotta perché l’altro lo riconosca, per affermare la propria autonomia dall’altro.

SIGNORIA E SERVITÙ
I risultati dello scontro: uno dei due o muore o viene sottomesso.
Nella prima il cammino verso l’autocoscienza è chiuso; invece, nella seconda vediamo un passo della fenomenologia dello spirito, abbiamo una prima forma di relazione sociale, quella tra padrone e servo.
Il servo avendo avuto timore della morte, ha preferito la vita alla sua libertà.

Il signore si rapporta al servo mediatamente, tramite lessere autonomo, che è appunto ciò a cui il servo è tenuto legato [...]. Parimenti, il signore si rapporta alla cosa-oggetto mediatamente, tramite il servo.

Il signore è persuaso di essere autonomo, autosufficiente, di avere in sé il principio del suo agire, del suo essere libero. Non si rende conto della sua dipendenza dal servo, non si rende conto che ha bisogno del servo. Dove lui pensa ci sia immediatezza, c’è mediazione.

Qui consiste la contraddizione da superare, noi siamo qui di fronte ad un riconoscimento asimmetrico. C’è un riconoscimento certamente ma non si stanno riconoscendo come reciprocamente riconoscentesi. C’è attribuzione di ruoli, ma il signore non riconosce il servo come qualcuno chiamato a riconoscerlo. Siamo di fronte ad un riconoscimento asimmetrico, difettivo.

Il padrone pensa di potersi autoaffermare, invece è tale solo attraverso la mediazione di un altro. La verità della coscienza autonoma (padrone) è la coscienza servile (servo).
Il servo invece non ha in sé il suo principio, ma viene dialetticamente risospinto dentro di sé, viene costretto a ritornare dialetticamente a una posizione di autocoscienza.

Tre passaggi fondamentali attraverso cui avviene questa presa di coscienza del servo:
1) Il servo prova angoscia, l’assoluto divenir fluido di ogni sussistenza. L’angoscia è il sentimento che ci soffoca perché ci si rende conto della propria esposizione; il suo oggetto coincide con il soggetto, si ha angoscia per sé. Dinanzi alla morte si rende conto della sua contingenza.
Nell’angoscia lo schiavo si rende conto di non essere una semplice cosa: lui non sta, ma esiste.
2) Il servo non è padrone delle sue giornate. In ciò il servo instaura un rapporto non immediato con la sua corporeità, non risponde all’istinto, dovendo controllare la sua begierde.
3) Il lavoro è attività negativa, determina e plasma. Il lavoro non distrugge, non divora, come al Begierde. Il servo ha occasione di riconoscersi nell’altro che ha plasmato. Il servo fa esperienza di libertà, di essere presso di sé nell’altro. Invece il padrone non si rivede nell’altro perché lo annulla.

Hegel inizia ad avere un’idea di epoca, allora si domanda nelle diverse epoche che figure si siano affermate.

STOICISMO
Lo stoicismo è significativo per la libertà e per i rapporti con l’alterità perché “lo stoico è libero sia sul trono che in catene”, c’è un’apatia, perché la libertà di sé lo stoico non la trova nelle circostanze esteriori (oikeiasis: vivere il mondo), ma la libertà sta nel logos, nel pensiero.

Però viene superato lo stoicismo? Perché la libertà non può essere solo interiore, un’autonomia della volontà che non assume effettività. Lo stoico è indifferente, però non c’è libertà nell’indeterminatezza.
Lo stoicismo è fondamentale perché la coscienza scopre di essere libera nel pensiero.

SCETTICISMO
Lo scetticismo è epochè, sospensione del giudizio. L’autocoscienza attraverso lo scetticismo scopre il dubbio, la ragione scopre la forza della sua libertà come azione negativa, può mettere in questione tutto.
Lo Stoicismo trapassa dialetticamente nello Scetticismo, il quale trasforma il distacco dal mondo in un atteggiamento di negazione del mondo. Lo scettico rifiuta ogni discorso che abbia pretesa di affermare la verità, al dubbio resiste solo la coscienza.

Il problema nello scetticismo, che rende necessario il suo superamento, è che impedisce la vita (prima confutazione pratica), contraddizione interna (“nulla è vero”, però questa affermazione viene ritenuta vera dallo scettico) e infine nullifica: la sua è una libertà assoluta e indeterminata, non entra in rapporto con nient’altro. Solo che l’autocoscienza si struttura solo nel rapporto con l’altro.

COSCIENZA INFELICE
La coscienza è tale, infelice, perché ritiene di essere niente di fronte al tutto, abbiamo un’inversione dialettica.
Sta affrontando l’ebraismo e il cristianesimo medievale.
La scissione che vive esteriormente (quella del rapporto con Dio: Dio è tutto e io sono niente), si ripropone all’interno della coscienza stessa come distinzione tra anima e corpo.
La coscienza non comprende nulla, tanto che gli ebrei si riempiono di precetti.
Però poi avviene l’incarnazione, l’immutabile entra nel mutevole, l’ebraismo ha a che fare con il particolare che dice di essere immutabile, universale.

Hegel usa l’esempio delle crociate, vanno dall’altra parte del mediterraneo per cercare Dio e trovano una tomba vuota. La coscienza ha frainteso cosa è accaduto con l’Ascensione, che universale e particolare si sono riconciliati nello Spirito, ma la coscienza religiosa continua a cercare Dio nel particolare.
È stata risanata la frattura, anche se il cristiano non lo ha compreso.

Le sotto-figure della coscienza infelice (Devozione, Opere e Mortificazione) sono i modi che Hegel analizza attraverso cui la coscienza infelice tenta di risolvere la sua scissione con l’universale, invece rende più presente la frattura.
devozione: Dio è tutto e io sono nulla.
opere: lavoro, pratica negativa attraverso cui coscienza rende umano il mondo.
mortificazione: modi in cui singola coscienza cerca di rimuovere la sua singola particolarità.

La singola coscienza non riesce ad essere presso di sé nell’altro, non riesce ad trovare, concepire, esprimere un rapporto adeguato tra particolare e universale.

Con Lutero si realizza che il singolo e l’universale sono in rapporto, Hegel è fortemente luterano, e la coscienza diventa ragione. Il riconoscimento che la trascendenza, in cui la coscienza infelice vedeva la sola e vera realtà, è non fuori bensì dentro di lei porta a una sintesi superiore, la quale si realizza sul piano della Ragione.

LA RAGIONE

La Ragione nasce nel momento in cui la coscienza acquisisce «la certezza di essere ogni realtà». È questa la posizione propria dell’idealismo.

LO SPIRITO

MONDO GRECO
Il primo momento della storia dello Spirito è il mondo greco in cui ciascuno obbedisce alle leggi dello Stato che, come popolo, si è dato
. Però anche lì nasce qualche conflitto come quello rappresentato dall’Antigone di Sofocle dove la legge non scritta della famiglia si è scontrata con la legge scritta dello Stato. Antigone, secondo la legge umana, non potrebbe dare sepoltura al fratello, mentre, seguendo la legge che sente in sé, lo seppellisce. Creonte, che la punisce, riafferma la legge umana. Ma il Destino punisce sia Antigone che non ha rispettato la legge umana, sia Creonte che non ha rispettato la “divina”.

Con l’atto di Antigone si apre una frattura nella omogeneità della polis, sostanza etica, in cui tutti partecipano alla stessa legge. In questi conflitti, l’individuo a poco a poco emerge dalla comunità. Si crea una frattura, però lo Spirito si presenta nella riconciliazione, Aufebung.

Cosa succede nella Rivoluzione francese? Viene affermata una libertà assoluta, ci si affranca da tutte quelle prerogative, la ragione è legislatrice di sé stessa. Ma una libertà di trovare in sé stessa le proprie norme, di auto-fondarsi, secondo Hegel, sfocia nell’affermazione assoluta di sé stessa e quindi eliminare ogni cosa che mi si opponga.

COSCIENZA AGENTE E COSCIENZA GIUDICANTE
Hegel sta affrontando la morale kantiana. Ci sono due coscienze che agiscono secondo le logiche della Critica della Ragion pratica, cioè persuase che il loro agire sia libero perché fondato sulle norme che la ragione dà a sé stessa.

Da un lato abbiamo la coscienza agente, che agisce secondo ciò che le detta la ragione, sicura di compiere il suo dovere, e dall’altra la coscienza giudicante, che non può smentire la coscienza agente essendo che quest’ultima compie il dovere, che è la forma priva di ogni contenuto.

La coscienza agente rivendica un movente universale, il dovere, invece la coscienza giudicante mostra la dimensione particolare dell’agire.
La coscienza giudicante, che Hegel chiama anima bella, giudica l’altro e rivela l’ipocrisia dell’altro. Hegel ci sta dicendo che il nostro agire è determinato, è sempre diverso dall’universale, possiamo dirci di star facendo IL bene, ma non lo realizzeremo mai.

Kant parla di autonomia e libertà, però bisogna guardare se questa libertà è effettiva.
La coscienza giudicante mostra che il dovere per il dovere manca di effettività e il nostro agire effettivo si muove nella determinatezza.

Gli imperativi kantiani non sono universali, perché non sono astorici, ma sono manifestazione storica dello Spirito.
Kant parla di volontà, Hegel anche di agire.

L’AMMISSIONE
L’anima bella è quella che non vuole mischiarsi con il determinato che giudica dall’alto. Però anche il giudicare è un agire, pone qualcosa di determinato allo stesso modo. È ipocrita.
La coscienza agente riconosce che l’altro è come lei, ipocrita e determinata come lei.

La colpa che l’agente ammette dinanzi all’altro è “Ich bin’s”, cioè che io sono questo: non sono l’universale che declamo ma sono questo agire determinato. È il momento in cui la coscienza agente afferma la propria determinatezza, lo afferma perché vuole affermare di aver riconosciuto l’altro come coscienza, primo passo verso il riconoscersi reciprocamente riconoscentesi.
Qua avviene una lotta, non solo per la sopravvivenza biologica ma la sopravvivenza dell’identità.

Lagente le si confessa, intuendo questa uguaglianza ed enunciandola, e aspetta che quelaltra coscienza, la riconosca uguale a sé: attende insomma che si faccia avanti un riconoscimento simmetrico, reciproca.

Due possibilità:

-        Possibilità del rifiuto dell’ammissione in cui la coscienza universale, giudicante, anima bella si mantiene nella sua presunta universalità, si mantiene nella ineffettività, astrattezza.
Avviene uno scontro-incontro simile a quello per la sopravvivenza, ma questo si svolge nel linguaggio

Se Spirito e autocoscienza sono libertà allora la vicenda dello spirito è come questa libertà si determina in rapporto a ciò che gli sta di fronte, come si realizza questa libertà. La coscienza giudicante, se rifiuta la sua somiglianza con la coscienza agente, rimane vincolata a sua ineffettività e per noi rimane ancorata invischiata in una immagine riduttiva di che cosa la libertà è: una facoltà vuota.
Il passo che coscienza agente fa è quello di rendersi conto che solo nella determinatezza si è liberi.

-        Perdono

IL PERDONO
La libertà vera è una libertà nella determinatezza, che si immischia nella determinatezza dell’atto, della sua particolarità.
(La figura precedente è ragione sufficiente di quella successiva, la necessità è rinvenibile ex post).

Quello che si vede qui è che ogni morale è contraddittoria perché contraddittorio è il rapporto tra particolare e il particolare degli altri. L’autonomia può essere reale solo accettando il negativo. Non c’è libertà che nel rapporto con l’alterità (critica all’idea moderna di libertà negativa).

Il perdono non è un’amnistia, qualcosa di concesso dall’altro al basso, è lo stesso gesto dell’ammissione. Il nostro essere colpevoli è il nostro essere finiti che viene ricollocato nel dinamismo dialettico che riguarda la libertà dello spirito. Rivediamo il fatto che il vero è soggetto e quel dinamismo visto nella dialettica è il nostro dinamismo.

Il sapere assoluto, che è immanente al percorso, è la prospettiva in cui lo Spirito non si sa estraneo alle sue forme determinate. Il sapere assoluto è l’attuarsi del concetto, il contenuto della scienza.

Il Sì della riconciliazione, in cui i due Io si spogliano della loro esistenza opposta, è l’esistenza dell’Io esteso fino alla dualità, Io che con ciò resta uguale a sé e che ha la certezza di se stesso nella sua esteriorizzazione perfetta e nel suo contrario.

LINEAMENTI DI FILOSOFIA DEL DIRITTO (1821)
È un’opera articolata dialetticamente, come tre circonferenze concentriche: moralità sopra diritto ed eticità sopra tutte.

La libertà dello spirito si realizza solo in determinati rapporti sociali all’interno di un popolo e nell’appartenenza istituzionale allo stato.

DIRITTO
Il diritto sono le norme giuridiche. Noi siamo liberi finché la legge non sancisce il contrario e su ciò che non sancisce possiamo fare quello che volgiamo.
Però le leggi non forniscono giudizi, ma stabiliscono il lecito e l’illecito, allora bisogna ricorrere anche ad altro, cioè alla moralità.

MORALITÀ
La moralità è la legge interiore, il dovere. Espressione della moralità è la morale kantiana.
Però anche la moralità kantiana è insufficiente: Kant riduce la libertà a una facoltà. Però noi non siamo liberi quando abbiamo la facoltà di decidere, ma siamo liberi quando siamo liberi, cioè non solo la facoltà di decidere ma anche la possibilità effettuare i nostri propri atti. “Kant vuole imparare a nuotare prima di immergersi nell’acqua”.

Sorge però una discrepanza tra l’intenzione del soggetto e l’attuazione del dovere.

ETICITÀ
Nella terza sezione sull’eticità, Hegel pone la questione della libertà, definita dall’inizio come carattere fondamentale dello Spirito e traiettoria dell’attuarsi dello spirito nelle sue determinazioni.

L’eticità è “il concetto della libertà divenuto mondo sussistente e divenuto natura dell’autocoscienza”.
Nell’eticità diritto e dovere coincidono poiché la volontà universale dello Spirito coincide con la volontà particolare del singolo.
Per questo Hegel parla dell’eticità come di una seconda natura che rimpiazza la natura soggettiva del singolo.

La libertà si afferma nell’eticità, cioè la morale realizzata nel particolare, nell’èthos. L’eticità è la moralità realizzata nei costumi e nelle istituzioni di un popolo.
Per capire dovere e libertà non dobbiamo indagare il singolo individuo, ma le leggi della seconda natura.

Quali sono le condizioni della seconda natura? Che ci sia un contenuto, che non mi do da me; il diritto non pertiene come singolo, ma ci deve essere l’altro che me lo riconosca; la terza condizione è una certa lingua.
Il nostro essere nella storia, in una società, non è un condizionamento limitante della nostra libertà, ma è la condizione positiva per cui possa essere tale.

La prima istituzione in cui si realizza l’eticità è la famiglia, in cui l’individuo diventa membro di un’unità superiore. Però questa è destinata a dissolversi per formare un campo di relazioni più esteso.
L’interazione fra più famiglie crea la società civile, cioè la seconda istituzione in cui si realizza l’eticità.
La società civile è, dice Hegel, il «sistema dei bisogni», cioè l’organizzazione razionale di tutte le attività volte al soddisfacimento dei bisogni degli uomini.
Però solo con lo Stato l’unificazione sociale giunge a vero compimento. Lo stato è manifestazione della razionalità del mondo. Lo stato hegeliano è uno stato etico in quanto è il fine assoluto di questa libertà.

L’ultimo passaggio è lo stato, la realtà dell’idea etica.
Hegel dice che sono pienamente libero nel momento in cui obbedisco ad una legge che mi sono dato da me.
Lo Stato è l’istituzione in cui l’interesse particolare viene a coincidere con quello universale.