Filosofia Feuerbach e Marx
Ludwig Feuerbach nasce nel 1804 in Baviera da una famiglia benestante. Nel 1823 si iscrive alla facoltà di teologia nell’università di Heidelberg, l’anno successivo si trasferisce all’università di Berlino dove assiste alle lezioni di Hegel. Nel 1826 si trasferisce all’università di Erlangen dove ottiene il dottorato in filosofia e l’abilitazione alla docenza.
Testo del 1830 (moti rivoluzionari e liberali) pubblicato anonimo che gli viene subito attribuito. Nel testo mantiene ancora qualcosa di Hegel ma delinea già quale sarà la personalità della sinistra Hegeliana che porterà alla scissione nel 1831. Nel testo il filosofo delinea una distinzione tra finito e infinito, astratto e concreto, materia e spirito, che lo porta a negare un dogma, ovvero l’immortalità dell’anima individuale. Infatti per Feuerbach dopo la morte l’anima individuale si dissolve unendosi allo spirito universale.
In questo testo del 1841 Feuerbach afferma che nel concetto di Dio si cela l’essenza dell’uomo, dunque che nell’oggetto della religione vengano esposte le caratteristiche e gli attributi dell’essere umano. Dunque la religione è alienazione (intesa come proiezione al di fuori di sé in un ente trascendente della natura più propria dell’uomo). Ciò si spiega prendendo in considerazione la doppia natura dell’uomo che da un lato, come essere individuale, è finito e manchevole. Dall’altra, il genere umano nel suo complesso, è infinito e supremo. Questo avviene perché il genere è superiore alle finitezze del singolo. Dunque il segreto della teologia è l’antropologia, ciò che si dice di Dio si dice dell’uomo, Dio è perciò la prima forma di autocoscienza. Dio è una proiezione illusoria delle qualità migliori che l’uomo possiede e rappresenta fuori di sé potenziandole, questa è una dialettica alienante per cui Dio esiste perché l’uomo lo ha posto. Tuttavia l'individuo è incapace di attribuirsi da solo i caratteri che attribuisce a Dio perciò li conferisce a un essere onnipotente e trascendente. La religione è dunque un passo necessario nello sviluppo del genere umano ma l’uomo continua a vedersi in un ente diverso da sé, si rispecchia in Dio ma non ne è consapevole. La filosofia ha il compito di rendere l’uomo consapevole di ciò. Per Feuerbach la soluzione è sostituire alla religione attaccata alla salvezza individuale, una religione fondata sull’amore e l’unione tra gli esseri umani.
Per il filosofo l’assoluto è l’essere umano che ha come tratto principale la corporeità che è caratterizzata dalla sensibilità, dalle passioni e dalle intuizioni sensibili. Dunque per sperimentare veramente l’essere bisogna dare la parola alla sensibilità e così ribadisce l’indipendenza dell’essere, l’autonomia della natura, la resistenza che essa manifesta ai nostri sensi. L’essere è la materia, tutto ciò che viene manifestato dall’assenza di pensiero.
Dunque si assiste a un progressivo ribaltamento dei rapporti di predicazione dei contrari, per cui il finito, il concreto e la materia diventano predicati dello spirito che è soggetto alla realtà. Dunque a differenza di quanto accadeva in Hegel, viene prima la natura e poi l’idea, e la realtà torna a essere ciò che è riconoscendo la precedenza di finito, concreto e materia. Applicando dunque il materialismo alla religione si ottiene che non è Dio che ha creato l’uomo ma l’uomo che ha creato Dio.
Marx inaugura un nuovo modo di pensare proponendo la critica alla società borghese del suo tempo in forma scientifica. Il pensiero di Marx è frutto del periodo storico che vive che si trova profondamente segnato da alcuni eventi storici come la rivoluzione Francese (1789) e la rivoluzione industriale. Questi due eventi rappresentano per l’Europa l’inizio di una nuova epoca politica ed economica. Per Marx esiste un rapporto tra capitalismo e rivoluzione, il capitalismo stesso espandendosi sempre di più nell’occidente impone un rinnovamento costante nelle relazioni sociali tra capitalisti e proletari.
1818: nasce a Treviri, fin dalla giovinezza nutre una profonda insofferenza per la monarchia nel suo paese che tende a reprimere il popolo (ha origini ebraiche)
1835: si iscrive alla facoltà di giurisprudenza a Bonn
1836-1837: il padre lo trasferisce all’università di Berlino dove conosce la filosofia e cambia facoltà in quella di filosofia (dibattito tra Hegeliani di destra e di sinistra)
1841: si laurea all’università di Jena
1843: Dopo essersi trasferito a Colonia e aver conosciuto Engels radicalizza le sue posizioni politiche e si sposta con la moglie a Parigi
1844: unisce alla filosofia l’economia nei manoscritti economico-filosofici
1845-1846: si rifugia a Bruxelles con Engels e scrivono l’ideologia tedesca; i due aderiscono poi alla lega dei giusti che diventa lega dei comunisti dalla quale vengono incaricati di scrivere Il manifesto del partito comunista
1848: partecipa ai moti rivoluzionari fuggendo prima a Parigi e poi a Londra
1857-1858: si dedica alle sue opere maggiori
1883: muore
Il testo è un saggio del 1843 in cui Marx tenta di storcizzare la riflessione di Hegel sullo stato, ovvero di passare al vaglio della storia la riflessione e mutarne le soluzioni. Secondo Marx la separazione tra Stato e società civile prodotta dalle rivoluzioni borghesi (Francese e Americana) ha rappresentato un fattore di progresso rendendo tutti i cittadini uguali nella sfera pubblica. Tuttavia definisce contraddittoria la scissione tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino, che creano una società antisociale, ovvero una società in cui gli interessi privati superano gli interessi comuni. Dunque l’eguaglianza conquistata è un’uguaglianza fittizia in cui i cittadini sono uguali per la legge ma su di loro grava una disuguaglianza socio economica. La questione dei diritti sposta solamente l’attenzione dalla vera disuguaglianza e maschera il dominio dei proprietari di un capitale e dei mezzi di produzione dietro l’entità astratta dello stato. Dunque Marx vede la soluzione di questi problemi nella soppressione sia dello Stato borghese che della società civile borghese attraverso una rivoluzione con il fine di instaurare una società completamente diversa. Perciò l’emancipazione politica deve essere completata dall’emancipazione sociale, ma per far sì che ciò accada è necessario liberare l’uomo dall’ossessione del possesso.
Uno dei problemi fondamentali dei rapporti nell’età moderna è la costante mediazione del denaro che genera alienazione. Questo è un fatto socio-economico che nella società capitalista prova soltanto il proletario che viene sfruttato dalla società stessa. Questo fatto genera conflitti sistematicamente con la classe dirigente che vede la proprietà privata come un dogma indiscutibile, come l’unico modo di produrre e distribuire ricchezza. L’economia politica non ha una prospettiva storica, non riconosce nel sistema economico una forma in base al periodo storico. L’alienazione di cui parla marx è un’alienazione con accezione negativa e fa riferimento a più aspetti che caratterizzano la condizione del proletario. L’alienazione per Marx agisce su più livelli che amplificano il suo effetto:
La separazione del lavoratore dal prodotto della sua attività: il frutto del lavoro dell’operaio appartiene al datore di lavoro e non al proletario che con il suo stipendio può acquistare solo lo stretto necessario per vivere
La condizione del lavoratore rispetto alla propria attività lavorativa: il lavoro (soprattutto quello nelle fabbriche [in serie]) è fattore di abbruttimento e costrizione, l’uomo così si aliena dal suo stesso essere.
La condizione umana del lavoratore: il lavoratore non è e non si sente libero di perseguire certi fini piuttosto che altri, in quanto la maggior parte del suo tempo è occupata nel cercare i mezzi di sostentamento. Il lavoro non viene percepito come emancipazione ma come bestialità.
Relazione tra esseri umani: il proletario viene visto come un mezzo per il fine di produrre per far arricchire il capitalista, perde così la capacità di cooperare. Dunque anche il lavoro viene considerato una merce appartenente al datore di lavoro e che segue come tutte le altre merci le leggi di mercato. Il rapporto conflittuale tra il capitalista e il proletario è un modello relazionale che viene seguito in tutte le relazioni
Le tesi su Feuerbach di Marx sono appendici a un testo dell’amico Engles del 1882 e si tratta di 11 proposizioni volte a criticare il modo di definire l’essenza dell’umano di Feuerbach, cioè in modo astratto. Infatti Marx critica il fatto di aver dato una soluzione teorica a un problema che invece è astratto. Marx invece tenta di interpretare il mondo che va trasformato: la sua filosofia (ultima tesi) deve essere giudicata non per la coerenza logica ma per la sua correttezza storica. Per Marx l’uomo non è altro che storia, ovvero il rapporto attivo e mutevole con il mondo esterno.
Si tratta di un testo scritto in collaborazione con Engels nel 1845-1846 dove viene elaborata la visione materialistica della storia, ovvero la spiegazione scientifica dei processi storici. Il materialismo storico si sorregge su cinque pilastri:
Le forze produttive (forza-lavoro), gli strumenti tecnici della produzione e le conoscenze utili per produrre condizionano i rapporti di produzione (rapporti umani che si instaurano tra gli esseri umani nel corso del processo produttivo). l’insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società ed è il motore della storia (condiziona tutte le sfere ulteriori). Al di sopra della struttura economica che è l’epifenomeno si trova la sovrastruttura, l’insieme delle forme con cui la società si esprime. La sovrastruttura dipende dalla struttura economica. Si parla infatti di retroazione della sovrastruttura, poiché non è completamente influenzata ma gode di una certa autonomia. [Max Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo sostiene la tesi che la genesi del capitalismo moderno (struttura) risieda nell’etica protestante (coazione ascetica al risparmio), o meglio quella calvinista (sovrastruttura). Il calvinismo vede nel lavoro una vocazione religiosa mediante la quale si realizza nel mondo il piano divino. Dunque il successo professionale e il capitale accumulato diventa disponibile come capitale da investire. perciò i paesi protestanti vengono definiti capitalisti da prima di quelli cattolici. Il lavoro viene visto come vocazione]
Ogni rapporto di produzione si configura come un rapporto di dominio ovvero come lo sfruttamento di una classe sociale (gruppo di individui accomunati dalla loro posizione nel sistema produttivo)
Le ideologie nate dalle classi dominanti sono rappresentazioni false e teoriche elaborate da una classe sociale per difendere e promuovere i propri interessi. L’ideologia viene considerata da Marx come una maschera sovrastrutturale con cui la classe dominante nasconde il proprio potere. Dunque l’ideologia crea una falsa coscienza (rappresentazione falsata dei propri interessi e della propria posizione all’interno delle relazioni sociali)
Il mutamento sociale dipende dal rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione. Quando le forze produttive raggiungono un certo grado di sviluppo entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti i quali cambiano il loro ruolo da progressivo a degradante per le forze produttive stesse. In questi momenti subentra una fase di rivoluzione in cui si modificano i rapporti sociali.
Storicamente in occidente si possono rilevare solo pochi modi di produzione che segnano le grandi epoche della storia (schiavismo, feudale, capitalistico [Eurcomunismo: economia di villaggio finalizzata all'auto sussistenza attraverso l’unione delle terre e l’equità nella distribuzione]). Ogni modo di produzione porta con sé una polarizzazione sempre più accentuata della società, quella del capitalismo è il comunismo.
Nel 1848 insieme a Engels scrive il Manifesto del partito comunista. il testo è un’esortazione alla ribellione contro le monarchie restaurate che si basa su un’analisi scientifica della società borghese. Il cambiamento storico deriva anche dalla lotta di classe che è determinato dalla contrapposizione tra gli interessi di un gruppo dominante e quelli dei gruppi non dominanti, e questo insieme al materialismo storico sono la base della critica scientifica. La borghesia dunque pone le condizioni per il superamento del capitalismo. Nel manifesto isola tre tipi ideali di socialismo:
Socialismo reazionario: attacca il capitalismo non con una prospettiva di futuro ma rimpiangendo il passato e assumendo come positivo il mondo prerivoluzionario
Socialismo conservatore: si illude di poter correggere i tasti dolenti del capitalismo senza doverlo abbattere, tipico dei borghesi
Socialismo utopistico: l’antagonismo tra le classi sociali è visto come una delle contraddizioni di fondo dell’età moderna e estendono l’invito alla collaborazione a tutte le classi, in modo irreale.
Il socialismo proposto da Marx è invece un socialismo scientifico che si basa su una critica serrata al capitalismo e individua nel proletariato una forza rivoluzionaria con il compito di abbattere il regime capitalista per fondare la società comunista. La forza del proletariato sta nell’imponente numero di uomini e donne che fanno parte di questa classe sociale e per combattere il capitalismo che si sta internazionalizzando (rivoluzione industriale) anche il comunismo si deve internazionalizzare unendo tutti i proletari di tutto il mondo.
Testo del 1867 (gli altri due volumi sono postumi) si tratta di una critica all’economia politica tradotta nelle principali lingue, soprattutto in russo. Il capitale mette in evidenza il carattere antieconomico del capitalismo.L’economia è l’insieme dei mezzi per soddisfare i bisogni materiali dell’uomo. L’economia naturale funziona con un rapporto di tipo merce-denaro-merca. Il capitalismo rovescia l’economia naturale creando un rapporto denaro-merce-denaro in cui il fine unico è quello di guadagnare e arricchirsi. Dunque nel sistema capitalistico la crisi si ha non quando la merce scarseggia ma quando si ha una sovrapproduzione, poiché il fine ultimo è vendere per arricchirsi. La crisi nel capitalismo avviene periodicamente, è un dato strutturale del capitalismo stesso ed è una conseguenza dell’anarchia di mercato. La libertà di investimento, infatti, fa sì che i capitali vengano investiti nelle attività produttive che appaiono garantire profitti maggiori. Una delle possibili soluzioni che Marx propone è quella della pianificazione industriale statale, ovvero un’economia pianificata dallo stato che in base al bisogno produce con i mezzi di produzione collettivizzati. Un altro effetto della crisi è il crollo dei prezzi (aumento dell’offerta e diminuzione della domanda) che porta a un aumento della disoccupazione. Infatti il capitalismo non ha interesse nella piena occupazione ma preferisce una disoccupazione (a livelli gestibili). Quest’ultima è funzionale al capitalismo per due motivi: consente ai datori di lavoro di mantenere i salari bassi; costituisce il ricambio degli operai.
Ogni merce ha un valore d’uso (l’utilizzo) e un valore di scambio (quantità di lavoro per produrre quella merce). Questi due valori determinano il giusto prezzo, ovvero il prezzo utile a non rimettere i costi di produzione e distribuzione. Anche il lavoro può essere considerato una merce come tutte le altre, il valore d’uso è la produzione e il valore di scambio è il salario. Dunque anche il salario dovrebbe avere un giusto prezzo diventando un salario di sussistenza (per permettersi il minimo indispensabile), ma la merce lavoro a differenza delle altre merci quando viene consumata produce altra merce di valore che viene accumulata dal capitalista che è proprietario privato dei mezzi di produzione. Quindi il proletario è sottopagato e sfruttato poichè indipendentemente da quanto guadagna lavora sempre le sue ore, anche se produce più di quanto guadagna (pluslavoro). Il saggio del profitto che è costituito da pluslavoro fratto capitale variabile e capitale costante di investimento (irriducibile e costretto dalla concorrenza) nel medio-lungo periodo tende a 0 creando conflitti sociali e sfociando in rivoluzione.
Programma condiviso del socialismo accusato da Marx di riformismo (non rivoluzionario). Il comunismo è un processo storico in atto che abolisce lo stato di cose presente, e qui egli distingue due forme di comunismo:
Incompiuta: la ricchezza prodotta viene ripartita in maniera proporzionale alla quantità di lavoro erogata. Criterio “meritocratico” che tuttavia non tiene conto del fatto che non tutti gli uomini sono uguali, infatti dividere in parti uguali tra disuguali rappresenta un’ingiustizia, lo stato deve annullare le disuguaglianze. La forma incompiuta (o imperfetta) risente del retaggio borghese anche a distanza di tempo.
Realizzata: da ciascuno secondo le proprie capacità a ciascuno secondo i propri bisogni. Ciascuno dà il suo massimo ma riceve solo ciò di cui ha bisogno, solo così si appianano le differenze. L’uomo è frutto della società in cui vive e ciò che si elimina dalla società (cattiveria, violenza, furti) si toglie anche dall’anima dell'uomo. Questa visione è una visione ottimistica e positiva dell’uomo.
Scuola di Francoforte: con questo termine si è soliti indicare un gruppo di studiosi tedeschi che operano in settori disciplinari disparati (politologi, sociologi, economisti, storici e filosofi) orientati allo studio critico della società. Centro di gravità del gruppo è l’Istituto per la Ricerca sociale di Francoforte, sorto nel 1923. Organo di stampa della scuola è la Rivista per la ricerca sociale fondata nel 1936 da Max Horkheimer. Con l’avvento del nazismo il gruppo francofortese deve emigrare all’estero, prima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York. Al termine della seconda guerra mondiale alcuni esponenti della scuola sono rimasti negli U.S.A. (tra questi H. Marcuse) mentre altri (tra cui M. Horkheimer e T.W. Adorno) hanno fatto ritorno in Germania, essendo finiti nella lista nera della Commissione per le attività anti- americane, dove hanno dato nuovamente vita all’Istituto per la ricerca sociale.
Sul piano filosofico l’obiettivo della S.d.F. è formulare una teoria critica della società tardo- capitalista. Gli autori di riferimento dei filosofi francofortesi sono Hegel, Marx e Freud. Dal punto di vista storico sociale, il progetto filosofico della S.d.F. si definisce in relazione a tre coordinate di fondo:
1) l’avvento del nazismo e del fascismo, che stimola una riflessione sulla problematica dell’autorità e dei suoi nessi strutturali con la società industriale moderna;
2) l’affermazione del comunismo sovietico, che funge da esempio di ‘rivoluzione fallita’ e ‘altra faccia’ del capitalismo;
3) il trionfo della società tecnologica e opulenta, che offre materia per alcune delle più originali riflessioni sulla cosiddetta ‘industria culturale’ e sull’‘individuo etero-diretto’.
Autore, insieme ad Adorno dell’opera chiave della S.d.F., La dialettica dell’Illuminismo (1947). In quest’opera il concetto di Illuminismo subisce un manifesto ampliamento di significato, in quanto cessa di identificarsi con ciò che gli storici della cultura intendono solitamente con tale espressione per diventare una categoria tipico- ideale. Dunque l’Illuminismo non si identifica con quella linea del pensiero borghese moderno che, partendo da Cartesio e Bacone, celebra i suoi trionfi nella cultura del Settecento e più tardi nel positivismo e nel pragmatismo, ma con la ‘logica del dominio’ che sta alla base della prassi dell’Occidente, ossia con quel complesso di atteggiamenti che (dalla realizzazione dei primi utensili alla prima centrale nucleare) ha perseguito l’ideale di una razionalizzazione del mondo, tesa a renderlo plasmabile e soggiogabile da parte dell’uomo. Ora, l’Illuminismo, e quindi l’intera civiltà occidentale, risulta caratterizzato da una intrinseca dialettica autodistruttiva, poiché la pretesa di accrescere sempre di più il potere dell’uomo sulla natura tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e in un generale asservimento dell’individuo al sistema sociale. Il destino dell’Occidente è simbolicamente racchiuso nel racconto omerico dell’incontro di Ulisse con le sirene. Odisseo e i suoi compagni rispecchiano la situazione tipica della società di classe nella quale i lavoratori “freschi e concentrati devono guardare in avanti e lasciare stara tutto ciò che sta a lato”, mentre Ulisse, il signore che fa lavorare gli altri, pur potendo accogliere gli inviti della felicità è parimenti chiuso nel suo alienante ruolo sociale. Più la tentazione si fa forte, più strettamente si fa legare, così come, più tardi, anche i borghesi si negheranno tanto più tenacemente la felicità, quanto più – crescendo la loro potenza – l’avranno a portata di mano.
Uno dei temi centrali del pensiero di Adorno è la dialettica, intesa come strumento di comprensione del reale. Tuttavia, la dialettica di Adorno non è la dialettica hegeliana della sintesi, della conciliazione, ma una dialettica negativa – come recita il titolo dell’omonima opera del 1966 – che mette in discussione il principio di identità real-razionale e denuncia le disarmonie e le contraddizioni non conciliare del mondo in cui viviamo. I filosofi hanno sempre cercato di dare una spiegazione coerente e
complessiva della realtà; anziché criticarla, l’hanno giustificata; sono stati costretti, così facendo, a razionalizzare l’irrazionale, unificare il diverso, armonizzare il disarmonico, mediante un’operazione mistificatrice. Il culmine si è raggiunto con l’hegelismo, dove si assiste alla “fagocitazione dell’oggetto da parte del soggetto”. Alla filosofia idealista che assume un atteggiamento giustificazionistico conservatore verso la società presente, Adorno contrappone una filosofia materialistica che parte dal presupposto per cui “l’oggetto può essere pensato solo dal soggetto”, ma resta pur sempre di fronte al soggetto come altro”, La dialettica adorniana insiste sul non-identico, sul contraddittorio, sul disarmonico, rinunciando alla totalità pacificata del sistema. Secondo Adorno uno degli aspetti più caratteristici dell’odierna società tecnologica è la creazione di un gigantesco apparato mediatico (giornali, cinema, pubblicità, TV, dischi, etc.) che Adorno considera il più subdolo e al tempo stesso pervasivo strumento di manipolazione delle coscienze, impiegato dal sistema per conservare se stesso e tenere sottomessi gli individui. Per descrivere questo fenomeno, Adorno utilizza la locuzione ‘industria culturale’. Parlare di ‘cultura di massa’ infatti poteva indurre a pensare a una cultura che scaturisce direttamente dalle masse, quando invece queste ultime non sono il soggetto di tale industria, come si vorrebbe far credere, bensì l’oggetto. L’industria suscita i bisogni e determina i consumi degli individui, rendendoli passivi ed eterodiretti, annullandoli come persone e riducendoli a una massa informe. Tant’è vero che persino il tempo del divertimento è diventato qualcosa di “progettato”, perché è l’industria culturale stessa che stabilisce modalità e orari del divertimento stesso, facendo di quest’ultimo una sorta di prolungamento del lavoro nell’epoca del tardo capitalismo. Attraverso l’industria culturale il sistema impone valori e modelli di comportamento funzionali al dominio di classe delle minoranze, generando consenso e veicolando l’idea della bontà del sistema e della felicità degli individui eterodiretti che lo costituiscono. Adorno riconosce perciò all’arte una funzione culturale e sociale rivoluzionaria, stante nel rovesciamento degli apparati simbolici apologetici dell’esistente. L’arte deve denunciare la
negatività del reale, diventando a sua volta ‘brutta’, dissonante, amorfa (si parla a questo proposito di “estetica del brutto”).
L’opera di M. rappresenta il tentativo originale di sintesi tra marxismo e freudismo. In Eros e civiltà (1955) Marcuse afferma che la civiltà ha potuto svilupparsi, accrescere la propria produttività e mantenere l’ordine solamente in virtù della repressione degli istinti, impedendo cioè all’individuo la libera soddisfazione delle sue pulsioni. A differenza di Freud – che riteneva la repressione un costo inevitabile della società – Marcuse distingue tra ‘rimozione di base’ – cioè un certo controllo degli istinti richiesto dalla vita sociale – e un ‘surplus di rimozione’ richiesto da quel tipo di civiltà che è la società di classe. Quest’ultima infatti è stata completamente asservita a ciò che Marcuse chiama il “principio della prestazione”, ossia alla direttiva di impiegare tutte le energie psicofisiche dell’individuo per scopi produttivi e lavorativi. Ora, il principio di prestazione, riducendo il singolo a un’entità per produrre ha represso le richieste umane di felicità e di piacere, comportando nello stesso tempo una diserotizzazione del corpo umano e la cosiddetta “tirannide genitale”, ossia la riduzione della sessualità a puro fatto genitale e procreativo. In tal modo, il fine della vita, anziché essere quello di “godere con gli altri del nostro stare al mondo” è diventato il lavoro e la fatica. Tuttavia la civiltà della prestazione non ha potuto far tacere completamente gli impulsi primordiali verso il piacere, la cui memoria è conservata nell’inconscio e nelle sue fantasie. Il “ritorno del rimosso”, secondo Marcuse, ha trovato una delle sue manifestazioni più caratteristiche nell’arte, arte che ha espresso il desiderio umano di libertà. La dimensione estetica, per Marcuse ha trovato le sue figure più caratteristiche in Orfeo e Narciso. Mentre Prometeo è l’eroe culturale dell’Occidente, in quanto simbolo della fatica e della produttività, Orfeo è “la voce che non comanda ma canta”; intendendo nel mondo un ordine più alto, “un ordine senza repressione”, così come la vita di Narciso è “una vita di bellezza e la sua esistenza è contemplazione”. Tutte e due esprimono dunque la ribellione simbolica contro la logica del lavoro e della fatica. Ora, Marcuse ritiene che il principio di prestazione abbia “creato le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione”. Ciò è sostanzialmente dovuto al fatto che lo sviluppo tecnologico e l’automatismo hanno posto le premesse per una diminuzione radicale della quantità di energia investita nel lavoro, a tutto vantaggio dell’eros e in vista di una trasformazione finale del lavoro in gioco, ossia in attività libera e creatrice. A questo proposito Marcuse parla di ‘fine dell’utopia’, alludendo con questa espressione al fatto che esistono i presupposti materiali e tecnici, ossia i ‘luoghi’ ove le utopie possono finalmente concretizzarsi nella realtà, abbandonando i ‘non luoghi’ dell’astrazione. In L’uomo a una dimensione (1964) Marcuse radicalizza la critica nei confronti della società tecnologica avanzata. ‘L'uomo a una dimensione’ è l’individuo alienato della società attuale; è colui per il quale la ragione si identifica con la realtà e che perciò non percepisce più il distacco tra ciò che è e ciò che deve essere; giacché per lui, al di fuori del sistema in cui vive non ci sono altri possibili modi di esistere. In effetti, il sistema tecnologico ha la capacità di fare apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l’individuo in un frenetico universo consumistico. Anzi, il sistema pur identificandosi con l’“amministrazione totale” dell’esistenza, si ammanta di forme pluralistiche e democratiche, che però sono puramente illusorie, perché le decisioni, in realtà, sono sempre nelle mani di pochi: “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”. La stessa tolleranza, di cui mena vanto tale società è unicamente, a ben riflettere, una “tolleranza repressiva”, perché il suo permissivismo funziona soltanto a proposito di ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Anche la cosiddetta libertà sessuale della società avanzata è un’illusione o un inganno. Marcuse parla, a questo proposito, di “desublimazione repressiva”, intendendo, con questa espressione la falsa libertà dell’Occidente, per il quale, in apparenza non ci sono più tabù e repressioni (e quindi non c’è più sublimazione), mentre in realtà si ha una semplice “liberalizzazione amministrata” e commercialmente redditizia del sesso, ai fini di un adattamento repressivo dell’individuo al sistema. Tuttavia, la società tecnologica avanzata non riesce a mettere a tacere tutti i problemi, a cominciare dalla contraddizione di fondo che la caratterizza: quella fra il potenziale possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l’indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l’appagamento dei bisogni primari e stordisce il resto della popolazione con l’esaudimento di bisogni fittizi. Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, ossia il lavoratore salariato, ormai completamente ‘integrato’ nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi ‘esclusi’ delle società opulente, del sostrato dei reietti e degli stranieri, dei disoccupati e degli inabili. Questi gruppi possono incarnare il ‘Grande rifiuto’ (espressione desunta dal manifesto del surrealismo di A. Breton) ossia l’opposizione totale al sistema e pone le basi per la traduzione dell’utopia nella realtà. Negli anni successivi alla pubblicazione di L’uomo a una dimensione, Marcuse ha continuato a riflettere sui possibili soggetti rivoluzionari in grado di abbattere il sistema, mettendo in luce come le sorti della rivoluzione mondiale siano affidate a un vasto schieramento di forze, di cui fanno parte sia i gruppi del dissenso dei paesi avanzati (dal sottoproletariato agli studenti), sia i ‘dannati del Terzo mondo’, sia il proletariato occidentale ancora politicamente attivo (come quello francese o italiano): Fiducioso nell’azione simultanea di queste forze, Marcuse appare invece piuttosto scettico sulla loro azione isolata e spontaneista.
Ludwig Feuerbach nasce nel 1804 in Baviera da una famiglia benestante. Nel 1823 si iscrive alla facoltà di teologia nell’università di Heidelberg, l’anno successivo si trasferisce all’università di Berlino dove assiste alle lezioni di Hegel. Nel 1826 si trasferisce all’università di Erlangen dove ottiene il dottorato in filosofia e l’abilitazione alla docenza.
Testo del 1830 (moti rivoluzionari e liberali) pubblicato anonimo che gli viene subito attribuito. Nel testo mantiene ancora qualcosa di Hegel ma delinea già quale sarà la personalità della sinistra Hegeliana che porterà alla scissione nel 1831. Nel testo il filosofo delinea una distinzione tra finito e infinito, astratto e concreto, materia e spirito, che lo porta a negare un dogma, ovvero l’immortalità dell’anima individuale. Infatti per Feuerbach dopo la morte l’anima individuale si dissolve unendosi allo spirito universale.
In questo testo del 1841 Feuerbach afferma che nel concetto di Dio si cela l’essenza dell’uomo, dunque che nell’oggetto della religione vengano esposte le caratteristiche e gli attributi dell’essere umano. Dunque la religione è alienazione (intesa come proiezione al di fuori di sé in un ente trascendente della natura più propria dell’uomo). Ciò si spiega prendendo in considerazione la doppia natura dell’uomo che da un lato, come essere individuale, è finito e manchevole. Dall’altra, il genere umano nel suo complesso, è infinito e supremo. Questo avviene perché il genere è superiore alle finitezze del singolo. Dunque il segreto della teologia è l’antropologia, ciò che si dice di Dio si dice dell’uomo, Dio è perciò la prima forma di autocoscienza. Dio è una proiezione illusoria delle qualità migliori che l’uomo possiede e rappresenta fuori di sé potenziandole, questa è una dialettica alienante per cui Dio esiste perché l’uomo lo ha posto. Tuttavia l'individuo è incapace di attribuirsi da solo i caratteri che attribuisce a Dio perciò li conferisce a un essere onnipotente e trascendente. La religione è dunque un passo necessario nello sviluppo del genere umano ma l’uomo continua a vedersi in un ente diverso da sé, si rispecchia in Dio ma non ne è consapevole. La filosofia ha il compito di rendere l’uomo consapevole di ciò. Per Feuerbach la soluzione è sostituire alla religione attaccata alla salvezza individuale, una religione fondata sull’amore e l’unione tra gli esseri umani.
Per il filosofo l’assoluto è l’essere umano che ha come tratto principale la corporeità che è caratterizzata dalla sensibilità, dalle passioni e dalle intuizioni sensibili. Dunque per sperimentare veramente l’essere bisogna dare la parola alla sensibilità e così ribadisce l’indipendenza dell’essere, l’autonomia della natura, la resistenza che essa manifesta ai nostri sensi. L’essere è la materia, tutto ciò che viene manifestato dall’assenza di pensiero.
Dunque si assiste a un progressivo ribaltamento dei rapporti di predicazione dei contrari, per cui il finito, il concreto e la materia diventano predicati dello spirito che è soggetto alla realtà. Dunque a differenza di quanto accadeva in Hegel, viene prima la natura e poi l’idea, e la realtà torna a essere ciò che è riconoscendo la precedenza di finito, concreto e materia. Applicando dunque il materialismo alla religione si ottiene che non è Dio che ha creato l’uomo ma l’uomo che ha creato Dio.
Marx inaugura un nuovo modo di pensare proponendo la critica alla società borghese del suo tempo in forma scientifica. Il pensiero di Marx è frutto del periodo storico che vive che si trova profondamente segnato da alcuni eventi storici come la rivoluzione Francese (1789) e la rivoluzione industriale. Questi due eventi rappresentano per l’Europa l’inizio di una nuova epoca politica ed economica. Per Marx esiste un rapporto tra capitalismo e rivoluzione, il capitalismo stesso espandendosi sempre di più nell’occidente impone un rinnovamento costante nelle relazioni sociali tra capitalisti e proletari.
1818: nasce a Treviri, fin dalla giovinezza nutre una profonda insofferenza per la monarchia nel suo paese che tende a reprimere il popolo (ha origini ebraiche)
1835: si iscrive alla facoltà di giurisprudenza a Bonn
1836-1837: il padre lo trasferisce all’università di Berlino dove conosce la filosofia e cambia facoltà in quella di filosofia (dibattito tra Hegeliani di destra e di sinistra)
1841: si laurea all’università di Jena
1843: Dopo essersi trasferito a Colonia e aver conosciuto Engels radicalizza le sue posizioni politiche e si sposta con la moglie a Parigi
1844: unisce alla filosofia l’economia nei manoscritti economico-filosofici
1845-1846: si rifugia a Bruxelles con Engels e scrivono l’ideologia tedesca; i due aderiscono poi alla lega dei giusti che diventa lega dei comunisti dalla quale vengono incaricati di scrivere Il manifesto del partito comunista
1848: partecipa ai moti rivoluzionari fuggendo prima a Parigi e poi a Londra
1857-1858: si dedica alle sue opere maggiori
1883: muore
Il testo è un saggio del 1843 in cui Marx tenta di storcizzare la riflessione di Hegel sullo stato, ovvero di passare al vaglio della storia la riflessione e mutarne le soluzioni. Secondo Marx la separazione tra Stato e società civile prodotta dalle rivoluzioni borghesi (Francese e Americana) ha rappresentato un fattore di progresso rendendo tutti i cittadini uguali nella sfera pubblica. Tuttavia definisce contraddittoria la scissione tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino, che creano una società antisociale, ovvero una società in cui gli interessi privati superano gli interessi comuni. Dunque l’eguaglianza conquistata è un’uguaglianza fittizia in cui i cittadini sono uguali per la legge ma su di loro grava una disuguaglianza socio economica. La questione dei diritti sposta solamente l’attenzione dalla vera disuguaglianza e maschera il dominio dei proprietari di un capitale e dei mezzi di produzione dietro l’entità astratta dello stato. Dunque Marx vede la soluzione di questi problemi nella soppressione sia dello Stato borghese che della società civile borghese attraverso una rivoluzione con il fine di instaurare una società completamente diversa. Perciò l’emancipazione politica deve essere completata dall’emancipazione sociale, ma per far sì che ciò accada è necessario liberare l’uomo dall’ossessione del possesso.
Uno dei problemi fondamentali dei rapporti nell’età moderna è la costante mediazione del denaro che genera alienazione. Questo è un fatto socio-economico che nella società capitalista prova soltanto il proletario che viene sfruttato dalla società stessa. Questo fatto genera conflitti sistematicamente con la classe dirigente che vede la proprietà privata come un dogma indiscutibile, come l’unico modo di produrre e distribuire ricchezza. L’economia politica non ha una prospettiva storica, non riconosce nel sistema economico una forma in base al periodo storico. L’alienazione di cui parla marx è un’alienazione con accezione negativa e fa riferimento a più aspetti che caratterizzano la condizione del proletario. L’alienazione per Marx agisce su più livelli che amplificano il suo effetto:
La separazione del lavoratore dal prodotto della sua attività: il frutto del lavoro dell’operaio appartiene al datore di lavoro e non al proletario che con il suo stipendio può acquistare solo lo stretto necessario per vivere
La condizione del lavoratore rispetto alla propria attività lavorativa: il lavoro (soprattutto quello nelle fabbriche [in serie]) è fattore di abbruttimento e costrizione, l’uomo così si aliena dal suo stesso essere.
La condizione umana del lavoratore: il lavoratore non è e non si sente libero di perseguire certi fini piuttosto che altri, in quanto la maggior parte del suo tempo è occupata nel cercare i mezzi di sostentamento. Il lavoro non viene percepito come emancipazione ma come bestialità.
Relazione tra esseri umani: il proletario viene visto come un mezzo per il fine di produrre per far arricchire il capitalista, perde così la capacità di cooperare. Dunque anche il lavoro viene considerato una merce appartenente al datore di lavoro e che segue come tutte le altre merci le leggi di mercato. Il rapporto conflittuale tra il capitalista e il proletario è un modello relazionale che viene seguito in tutte le relazioni
Le tesi su Feuerbach di Marx sono appendici a un testo dell’amico Engles del 1882 e si tratta di 11 proposizioni volte a criticare il modo di definire l’essenza dell’umano di Feuerbach, cioè in modo astratto. Infatti Marx critica il fatto di aver dato una soluzione teorica a un problema che invece è astratto. Marx invece tenta di interpretare il mondo che va trasformato: la sua filosofia (ultima tesi) deve essere giudicata non per la coerenza logica ma per la sua correttezza storica. Per Marx l’uomo non è altro che storia, ovvero il rapporto attivo e mutevole con il mondo esterno.
Si tratta di un testo scritto in collaborazione con Engels nel 1845-1846 dove viene elaborata la visione materialistica della storia, ovvero la spiegazione scientifica dei processi storici. Il materialismo storico si sorregge su cinque pilastri:
Le forze produttive (forza-lavoro), gli strumenti tecnici della produzione e le conoscenze utili per produrre condizionano i rapporti di produzione (rapporti umani che si instaurano tra gli esseri umani nel corso del processo produttivo). l’insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società ed è il motore della storia (condiziona tutte le sfere ulteriori). Al di sopra della struttura economica che è l’epifenomeno si trova la sovrastruttura, l’insieme delle forme con cui la società si esprime. La sovrastruttura dipende dalla struttura economica. Si parla infatti di retroazione della sovrastruttura, poiché non è completamente influenzata ma gode di una certa autonomia. [Max Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo sostiene la tesi che la genesi del capitalismo moderno (struttura) risieda nell’etica protestante (coazione ascetica al risparmio), o meglio quella calvinista (sovrastruttura). Il calvinismo vede nel lavoro una vocazione religiosa mediante la quale si realizza nel mondo il piano divino. Dunque il successo professionale e il capitale accumulato diventa disponibile come capitale da investire. perciò i paesi protestanti vengono definiti capitalisti da prima di quelli cattolici. Il lavoro viene visto come vocazione]
Ogni rapporto di produzione si configura come un rapporto di dominio ovvero come lo sfruttamento di una classe sociale (gruppo di individui accomunati dalla loro posizione nel sistema produttivo)
Le ideologie nate dalle classi dominanti sono rappresentazioni false e teoriche elaborate da una classe sociale per difendere e promuovere i propri interessi. L’ideologia viene considerata da Marx come una maschera sovrastrutturale con cui la classe dominante nasconde il proprio potere. Dunque l’ideologia crea una falsa coscienza (rappresentazione falsata dei propri interessi e della propria posizione all’interno delle relazioni sociali)
Il mutamento sociale dipende dal rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione. Quando le forze produttive raggiungono un certo grado di sviluppo entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti i quali cambiano il loro ruolo da progressivo a degradante per le forze produttive stesse. In questi momenti subentra una fase di rivoluzione in cui si modificano i rapporti sociali.
Storicamente in occidente si possono rilevare solo pochi modi di produzione che segnano le grandi epoche della storia (schiavismo, feudale, capitalistico [Eurcomunismo: economia di villaggio finalizzata all'auto sussistenza attraverso l’unione delle terre e l’equità nella distribuzione]). Ogni modo di produzione porta con sé una polarizzazione sempre più accentuata della società, quella del capitalismo è il comunismo.
Nel 1848 insieme a Engels scrive il Manifesto del partito comunista. il testo è un’esortazione alla ribellione contro le monarchie restaurate che si basa su un’analisi scientifica della società borghese. Il cambiamento storico deriva anche dalla lotta di classe che è determinato dalla contrapposizione tra gli interessi di un gruppo dominante e quelli dei gruppi non dominanti, e questo insieme al materialismo storico sono la base della critica scientifica. La borghesia dunque pone le condizioni per il superamento del capitalismo. Nel manifesto isola tre tipi ideali di socialismo:
Socialismo reazionario: attacca il capitalismo non con una prospettiva di futuro ma rimpiangendo il passato e assumendo come positivo il mondo prerivoluzionario
Socialismo conservatore: si illude di poter correggere i tasti dolenti del capitalismo senza doverlo abbattere, tipico dei borghesi
Socialismo utopistico: l’antagonismo tra le classi sociali è visto come una delle contraddizioni di fondo dell’età moderna e estendono l’invito alla collaborazione a tutte le classi, in modo irreale.
Il socialismo proposto da Marx è invece un socialismo scientifico che si basa su una critica serrata al capitalismo e individua nel proletariato una forza rivoluzionaria con il compito di abbattere il regime capitalista per fondare la società comunista. La forza del proletariato sta nell’imponente numero di uomini e donne che fanno parte di questa classe sociale e per combattere il capitalismo che si sta internazionalizzando (rivoluzione industriale) anche il comunismo si deve internazionalizzare unendo tutti i proletari di tutto il mondo.
Testo del 1867 (gli altri due volumi sono postumi) si tratta di una critica all’economia politica tradotta nelle principali lingue, soprattutto in russo. Il capitale mette in evidenza il carattere antieconomico del capitalismo.L’economia è l’insieme dei mezzi per soddisfare i bisogni materiali dell’uomo. L’economia naturale funziona con un rapporto di tipo merce-denaro-merca. Il capitalismo rovescia l’economia naturale creando un rapporto denaro-merce-denaro in cui il fine unico è quello di guadagnare e arricchirsi. Dunque nel sistema capitalistico la crisi si ha non quando la merce scarseggia ma quando si ha una sovrapproduzione, poiché il fine ultimo è vendere per arricchirsi. La crisi nel capitalismo avviene periodicamente, è un dato strutturale del capitalismo stesso ed è una conseguenza dell’anarchia di mercato. La libertà di investimento, infatti, fa sì che i capitali vengano investiti nelle attività produttive che appaiono garantire profitti maggiori. Una delle possibili soluzioni che Marx propone è quella della pianificazione industriale statale, ovvero un’economia pianificata dallo stato che in base al bisogno produce con i mezzi di produzione collettivizzati. Un altro effetto della crisi è il crollo dei prezzi (aumento dell’offerta e diminuzione della domanda) che porta a un aumento della disoccupazione. Infatti il capitalismo non ha interesse nella piena occupazione ma preferisce una disoccupazione (a livelli gestibili). Quest’ultima è funzionale al capitalismo per due motivi: consente ai datori di lavoro di mantenere i salari bassi; costituisce il ricambio degli operai.
Ogni merce ha un valore d’uso (l’utilizzo) e un valore di scambio (quantità di lavoro per produrre quella merce). Questi due valori determinano il giusto prezzo, ovvero il prezzo utile a non rimettere i costi di produzione e distribuzione. Anche il lavoro può essere considerato una merce come tutte le altre, il valore d’uso è la produzione e il valore di scambio è il salario. Dunque anche il salario dovrebbe avere un giusto prezzo diventando un salario di sussistenza (per permettersi il minimo indispensabile), ma la merce lavoro a differenza delle altre merci quando viene consumata produce altra merce di valore che viene accumulata dal capitalista che è proprietario privato dei mezzi di produzione. Quindi il proletario è sottopagato e sfruttato poichè indipendentemente da quanto guadagna lavora sempre le sue ore, anche se produce più di quanto guadagna (pluslavoro). Il saggio del profitto che è costituito da pluslavoro fratto capitale variabile e capitale costante di investimento (irriducibile e costretto dalla concorrenza) nel medio-lungo periodo tende a 0 creando conflitti sociali e sfociando in rivoluzione.
Programma condiviso del socialismo accusato da Marx di riformismo (non rivoluzionario). Il comunismo è un processo storico in atto che abolisce lo stato di cose presente, e qui egli distingue due forme di comunismo:
Incompiuta: la ricchezza prodotta viene ripartita in maniera proporzionale alla quantità di lavoro erogata. Criterio “meritocratico” che tuttavia non tiene conto del fatto che non tutti gli uomini sono uguali, infatti dividere in parti uguali tra disuguali rappresenta un’ingiustizia, lo stato deve annullare le disuguaglianze. La forma incompiuta (o imperfetta) risente del retaggio borghese anche a distanza di tempo.
Realizzata: da ciascuno secondo le proprie capacità a ciascuno secondo i propri bisogni. Ciascuno dà il suo massimo ma riceve solo ciò di cui ha bisogno, solo così si appianano le differenze. L’uomo è frutto della società in cui vive e ciò che si elimina dalla società (cattiveria, violenza, furti) si toglie anche dall’anima dell'uomo. Questa visione è una visione ottimistica e positiva dell’uomo.
Scuola di Francoforte: con questo termine si è soliti indicare un gruppo di studiosi tedeschi che operano in settori disciplinari disparati (politologi, sociologi, economisti, storici e filosofi) orientati allo studio critico della società. Centro di gravità del gruppo è l’Istituto per la Ricerca sociale di Francoforte, sorto nel 1923. Organo di stampa della scuola è la Rivista per la ricerca sociale fondata nel 1936 da Max Horkheimer. Con l’avvento del nazismo il gruppo francofortese deve emigrare all’estero, prima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York. Al termine della seconda guerra mondiale alcuni esponenti della scuola sono rimasti negli U.S.A. (tra questi H. Marcuse) mentre altri (tra cui M. Horkheimer e T.W. Adorno) hanno fatto ritorno in Germania, essendo finiti nella lista nera della Commissione per le attività anti- americane, dove hanno dato nuovamente vita all’Istituto per la ricerca sociale.
Sul piano filosofico l’obiettivo della S.d.F. è formulare una teoria critica della società tardo- capitalista. Gli autori di riferimento dei filosofi francofortesi sono Hegel, Marx e Freud. Dal punto di vista storico sociale, il progetto filosofico della S.d.F. si definisce in relazione a tre coordinate di fondo:
1) l’avvento del nazismo e del fascismo, che stimola una riflessione sulla problematica dell’autorità e dei suoi nessi strutturali con la società industriale moderna;
2) l’affermazione del comunismo sovietico, che funge da esempio di ‘rivoluzione fallita’ e ‘altra faccia’ del capitalismo;
3) il trionfo della società tecnologica e opulenta, che offre materia per alcune delle più originali riflessioni sulla cosiddetta ‘industria culturale’ e sull’‘individuo etero-diretto’.
Autore, insieme ad Adorno dell’opera chiave della S.d.F., La dialettica dell’Illuminismo (1947). In quest’opera il concetto di Illuminismo subisce un manifesto ampliamento di significato, in quanto cessa di identificarsi con ciò che gli storici della cultura intendono solitamente con tale espressione per diventare una categoria tipico- ideale. Dunque l’Illuminismo non si identifica con quella linea del pensiero borghese moderno che, partendo da Cartesio e Bacone, celebra i suoi trionfi nella cultura del Settecento e più tardi nel positivismo e nel pragmatismo, ma con la ‘logica del dominio’ che sta alla base della prassi dell’Occidente, ossia con quel complesso di atteggiamenti che (dalla realizzazione dei primi utensili alla prima centrale nucleare) ha perseguito l’ideale di una razionalizzazione del mondo, tesa a renderlo plasmabile e soggiogabile da parte dell’uomo. Ora, l’Illuminismo, e quindi l’intera civiltà occidentale, risulta caratterizzato da una intrinseca dialettica autodistruttiva, poiché la pretesa di accrescere sempre di più il potere dell’uomo sulla natura tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e in un generale asservimento dell’individuo al sistema sociale. Il destino dell’Occidente è simbolicamente racchiuso nel racconto omerico dell’incontro di Ulisse con le sirene. Odisseo e i suoi compagni rispecchiano la situazione tipica della società di classe nella quale i lavoratori “freschi e concentrati devono guardare in avanti e lasciare stara tutto ciò che sta a lato”, mentre Ulisse, il signore che fa lavorare gli altri, pur potendo accogliere gli inviti della felicità è parimenti chiuso nel suo alienante ruolo sociale. Più la tentazione si fa forte, più strettamente si fa legare, così come, più tardi, anche i borghesi si negheranno tanto più tenacemente la felicità, quanto più – crescendo la loro potenza – l’avranno a portata di mano.
Uno dei temi centrali del pensiero di Adorno è la dialettica, intesa come strumento di comprensione del reale. Tuttavia, la dialettica di Adorno non è la dialettica hegeliana della sintesi, della conciliazione, ma una dialettica negativa – come recita il titolo dell’omonima opera del 1966 – che mette in discussione il principio di identità real-razionale e denuncia le disarmonie e le contraddizioni non conciliare del mondo in cui viviamo. I filosofi hanno sempre cercato di dare una spiegazione coerente e
complessiva della realtà; anziché criticarla, l’hanno giustificata; sono stati costretti, così facendo, a razionalizzare l’irrazionale, unificare il diverso, armonizzare il disarmonico, mediante un’operazione mistificatrice. Il culmine si è raggiunto con l’hegelismo, dove si assiste alla “fagocitazione dell’oggetto da parte del soggetto”. Alla filosofia idealista che assume un atteggiamento giustificazionistico conservatore verso la società presente, Adorno contrappone una filosofia materialistica che parte dal presupposto per cui “l’oggetto può essere pensato solo dal soggetto”, ma resta pur sempre di fronte al soggetto come altro”, La dialettica adorniana insiste sul non-identico, sul contraddittorio, sul disarmonico, rinunciando alla totalità pacificata del sistema. Secondo Adorno uno degli aspetti più caratteristici dell’odierna società tecnologica è la creazione di un gigantesco apparato mediatico (giornali, cinema, pubblicità, TV, dischi, etc.) che Adorno considera il più subdolo e al tempo stesso pervasivo strumento di manipolazione delle coscienze, impiegato dal sistema per conservare se stesso e tenere sottomessi gli individui. Per descrivere questo fenomeno, Adorno utilizza la locuzione ‘industria culturale’. Parlare di ‘cultura di massa’ infatti poteva indurre a pensare a una cultura che scaturisce direttamente dalle masse, quando invece queste ultime non sono il soggetto di tale industria, come si vorrebbe far credere, bensì l’oggetto. L’industria suscita i bisogni e determina i consumi degli individui, rendendoli passivi ed eterodiretti, annullandoli come persone e riducendoli a una massa informe. Tant’è vero che persino il tempo del divertimento è diventato qualcosa di “progettato”, perché è l’industria culturale stessa che stabilisce modalità e orari del divertimento stesso, facendo di quest’ultimo una sorta di prolungamento del lavoro nell’epoca del tardo capitalismo. Attraverso l’industria culturale il sistema impone valori e modelli di comportamento funzionali al dominio di classe delle minoranze, generando consenso e veicolando l’idea della bontà del sistema e della felicità degli individui eterodiretti che lo costituiscono. Adorno riconosce perciò all’arte una funzione culturale e sociale rivoluzionaria, stante nel rovesciamento degli apparati simbolici apologetici dell’esistente. L’arte deve denunciare la
negatività del reale, diventando a sua volta ‘brutta’, dissonante, amorfa (si parla a questo proposito di “estetica del brutto”).
L’opera di M. rappresenta il tentativo originale di sintesi tra marxismo e freudismo. In Eros e civiltà (1955) Marcuse afferma che la civiltà ha potuto svilupparsi, accrescere la propria produttività e mantenere l’ordine solamente in virtù della repressione degli istinti, impedendo cioè all’individuo la libera soddisfazione delle sue pulsioni. A differenza di Freud – che riteneva la repressione un costo inevitabile della società – Marcuse distingue tra ‘rimozione di base’ – cioè un certo controllo degli istinti richiesto dalla vita sociale – e un ‘surplus di rimozione’ richiesto da quel tipo di civiltà che è la società di classe. Quest’ultima infatti è stata completamente asservita a ciò che Marcuse chiama il “principio della prestazione”, ossia alla direttiva di impiegare tutte le energie psicofisiche dell’individuo per scopi produttivi e lavorativi. Ora, il principio di prestazione, riducendo il singolo a un’entità per produrre ha represso le richieste umane di felicità e di piacere, comportando nello stesso tempo una diserotizzazione del corpo umano e la cosiddetta “tirannide genitale”, ossia la riduzione della sessualità a puro fatto genitale e procreativo. In tal modo, il fine della vita, anziché essere quello di “godere con gli altri del nostro stare al mondo” è diventato il lavoro e la fatica. Tuttavia la civiltà della prestazione non ha potuto far tacere completamente gli impulsi primordiali verso il piacere, la cui memoria è conservata nell’inconscio e nelle sue fantasie. Il “ritorno del rimosso”, secondo Marcuse, ha trovato una delle sue manifestazioni più caratteristiche nell’arte, arte che ha espresso il desiderio umano di libertà. La dimensione estetica, per Marcuse ha trovato le sue figure più caratteristiche in Orfeo e Narciso. Mentre Prometeo è l’eroe culturale dell’Occidente, in quanto simbolo della fatica e della produttività, Orfeo è “la voce che non comanda ma canta”; intendendo nel mondo un ordine più alto, “un ordine senza repressione”, così come la vita di Narciso è “una vita di bellezza e la sua esistenza è contemplazione”. Tutte e due esprimono dunque la ribellione simbolica contro la logica del lavoro e della fatica. Ora, Marcuse ritiene che il principio di prestazione abbia “creato le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione”. Ciò è sostanzialmente dovuto al fatto che lo sviluppo tecnologico e l’automatismo hanno posto le premesse per una diminuzione radicale della quantità di energia investita nel lavoro, a tutto vantaggio dell’eros e in vista di una trasformazione finale del lavoro in gioco, ossia in attività libera e creatrice. A questo proposito Marcuse parla di ‘fine dell’utopia’, alludendo con questa espressione al fatto che esistono i presupposti materiali e tecnici, ossia i ‘luoghi’ ove le utopie possono finalmente concretizzarsi nella realtà, abbandonando i ‘non luoghi’ dell’astrazione. In L’uomo a una dimensione (1964) Marcuse radicalizza la critica nei confronti della società tecnologica avanzata. ‘L'uomo a una dimensione’ è l’individuo alienato della società attuale; è colui per il quale la ragione si identifica con la realtà e che perciò non percepisce più il distacco tra ciò che è e ciò che deve essere; giacché per lui, al di fuori del sistema in cui vive non ci sono altri possibili modi di esistere. In effetti, il sistema tecnologico ha la capacità di fare apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l’individuo in un frenetico universo consumistico. Anzi, il sistema pur identificandosi con l’“amministrazione totale” dell’esistenza, si ammanta di forme pluralistiche e democratiche, che però sono puramente illusorie, perché le decisioni, in realtà, sono sempre nelle mani di pochi: “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”. La stessa tolleranza, di cui mena vanto tale società è unicamente, a ben riflettere, una “tolleranza repressiva”, perché il suo permissivismo funziona soltanto a proposito di ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Anche la cosiddetta libertà sessuale della società avanzata è un’illusione o un inganno. Marcuse parla, a questo proposito, di “desublimazione repressiva”, intendendo, con questa espressione la falsa libertà dell’Occidente, per il quale, in apparenza non ci sono più tabù e repressioni (e quindi non c’è più sublimazione), mentre in realtà si ha una semplice “liberalizzazione amministrata” e commercialmente redditizia del sesso, ai fini di un adattamento repressivo dell’individuo al sistema. Tuttavia, la società tecnologica avanzata non riesce a mettere a tacere tutti i problemi, a cominciare dalla contraddizione di fondo che la caratterizza: quella fra il potenziale possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l’indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l’appagamento dei bisogni primari e stordisce il resto della popolazione con l’esaudimento di bisogni fittizi. Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, ossia il lavoratore salariato, ormai completamente ‘integrato’ nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi ‘esclusi’ delle società opulente, del sostrato dei reietti e degli stranieri, dei disoccupati e degli inabili. Questi gruppi possono incarnare il ‘Grande rifiuto’ (espressione desunta dal manifesto del surrealismo di A. Breton) ossia l’opposizione totale al sistema e pone le basi per la traduzione dell’utopia nella realtà. Negli anni successivi alla pubblicazione di L’uomo a una dimensione, Marcuse ha continuato a riflettere sui possibili soggetti rivoluzionari in grado di abbattere il sistema, mettendo in luce come le sorti della rivoluzione mondiale siano affidate a un vasto schieramento di forze, di cui fanno parte sia i gruppi del dissenso dei paesi avanzati (dal sottoproletariato agli studenti), sia i ‘dannati del Terzo mondo’, sia il proletariato occidentale ancora politicamente attivo (come quello francese o italiano): Fiducioso nell’azione simultanea di queste forze, Marcuse appare invece piuttosto scettico sulla loro azione isolata e spontaneista.