L'analisi dell'etnologia in Europa, tra Otto e Novecento, gioca un ruolo cruciale nel comprendere l'interazione tra folklore, storia e politica. Ciò è particolarmente evidente attraverso le opere di figure importanti come Niccolò Tommaseo e Giuseppe Pitrè, che hanno influenzato la percezione della cultura popolare e la sua importanza nei contesti nazionali e identitari.
Prima del Romanticismo, vi era una predominanza di studi antiquari che cercavano di documentare le tradizioni. Questo periodo segna un passaggio che va dalla mera confutazione delle credenze popolari a un tentativo di documentazione e riconoscimento di una cultura diversa da quella ufficiale. Il popolarismo romantico ha rappresentato un punto di svolta, riconoscendo il valore e la dignità della cultura popolare.
Tommaseo, nelle sue opere, dà voce alle tradizioni popolari, in particolare della Toscana, attraverso forme liriche come stornelli e rispetti. La sua estetica va oltre la mera bellezza letteraria; egli associa la poesia popolare a un valore politico e morale, sottolineando la purezza del popolo contro le contaminazioni della modernità. Un esempio significativo è dato dalla figura di Beatrice di Pian degli Ontani, una donna semplice che rappresenta l'autenticità e la ricchezza del patrimonio culturale popolare.
Pitrè, noto per il suo approccio scientifico al folklore, ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo degli studi etnografici in Italia. La sua opera principale, la "Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane", costituisce un'importante raccolta di storie, leggende e pratiche folkloriche della Sicilia. Egli si distingue per la sua capacità di unire aspetti estetici a considerazioni sociali e storiche.
Durante la seconda metà dell'Ottocento, vi è un crescente interesse per il folklore, non solo come oggetto di studio, ma come strumento di costruzione dell'identità nazionale. Intellettuali come Carlo Tenca e Costantino Nigra rispondono a questa crescente attenzione, analizzando i valori estetici e sociali delle tradizioni popolari.
La prima guerra mondiale ha segnato l'inizio di un'interazione fra cultura popolare e nazionalismo. Durante il regime fascista, si assiste a una manipolazione del folklore a fini propagandistici, dove eventi e tradizioni popolari vengono riadattati per promuovere l'ideologia fascista. Questo processo ha portato a uno sfruttamento del folklore come simbolo dell'identità italiana, alterando le pratiche folkloriche autenticate con un vero e proprio "terrore culturale" per mantenere la pura tradizione italiana.
L'etnologia europea tra Otto e Novecento risulta essere un campo complesso e sfaccettato. La tensione tra la valorizzazione della cultura popolare e l'uso strumentale di essa in contesti politici, come illustrato dall'opera di Tommaseo e Pitrè, mostra quanto il folklore possa fungere da specchio delle trasformazioni sociali e ideologiche di un'epoca. La ricerca continua di autenticità, insieme alla consapevolezza della distanza tra intellettuali e il "popolo", evidenzia le dinamiche di appropriazione e reinterpretazione delle tradizioni che caratterizzano questo periodo.